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R Recensione

8/10

Nothing But Thieves

Nothing But Thieves

Si sentiva decisamente la mancanza di una band come i Nothing But Thieves, nell'indie rock britannico e non solo. La scena indipendente d'Albione (completamente diverso sarebbe il discorso da fare per quella mainstream, gloriosa, nonchè unica al mondo, nel riproporre, in veste moderna, i fasti di house ed eurodance con una serie di singoli strabilianti), vuoi per la mancanza di un'adeguata valorizzazione mediatica dei propri talenti migliori ad opera delle principali riviste nazionali, che sembrano sempre di più navigare a vista nel voler lanciare giovani band per poi abbandonarle non appena si scontrino con scarsi esiti contro la linea dominante di matrice prevalentemente pitchforkiana, vuoi per mancanza di coraggio o anche solo di un sentire comune dei suoi stessi protagonisti, negli ultimi 2-3 anni ha stentato e non è sostanzialmente giunta alla creazione di un qualcosa di davvero generalizzato, inedito e significativo.

C'è stata sì una microscena, composta da una manciata di gruppi provenienti dalla città di Birmingham, i cui due principali esponenti, Peace e Swim Deep, tuttavia, non sono riusciti ad imporsi e a far proseliti, per motivi diversi: molto capaci, ma alla lunga fin troppo rimasticati i primi (la cui inglesità spintissima non sta comunque mancando di far ottener loro ottimi riscontri di pubblico, almeno in patria), talentuosissimi, ma fin troppo personali e genuinamente freak per poter attecchire su larga scala, i secondi. La sostanza è che, come prassi da quasi una decina di anni a questa parte, ancora siamo in attesa delle prossime invenzioni dei due veri, grandi fari dell'Inghilterra di oggi, ovvero Horrors e Arctic Monkeys (questi ultimi, invero, sempre meno britannici nell'animo).

Proprio dalle recenti gesta di Turner&co., non a caso, prendono spunto i cinque baldi giovani protagonisti di questo scritto, sebbene con i dovuti distinguo, dal momento che si sta parlando di una formazione piena di personalità e spunti di interesse originali, al punto tale da sfuggire a ogni possibile catalogazione in qualsivoglia corrente attuale. Frettolosamente inquadrati come eredi dei Muse, probabilmente per le caratteristiche vocali del frontman Conor Mason, ma magari anche per il fatto di aver seguito in tournèe come atto di supporto i loro multimilionari colleghi in giro per l'Europa, i Nothing But Thieves propongono una musica fortemente passionale, epica e muscolare, che sembra piuttosto rifarsi all'alternative rock dei Radiohead di The Bends, ma in una maniera per lo più priva del disagio esistenziale che contraddistinse il gruppo di Oxford e molto più tellurica. Infatti, in una fase storica in cui i gruppi chitarristici sembrano fare a gara a chi è più timido ed introverso, i Thieves non si fanno alcun problema a liberare, in tutta la loro possenza, una sezione ritmica mastodontica e le due furenti chitarre, che spesso e volentieri si raddoppiano, ottenendo così un effetto che lambisce, per potenza, territori quasi AOR o comunque da rock da arena. Una definizione, questa, da prendere con le pinze, dal momento che i nostri non sono dotati dei funambolismi tecnici che forgiarono quella scena, piuttosto preferiscono puntare su un sound granitico, compatto, ma non per questo scevro di raffinatezze stilistiche.

Si prendano, a tal proposito, le storture del devastante singolo Itch, che attacca con un arpeggio di elettrica piuttosto intricato, su cui voce e batteria si inseriscono in controtempo, senza però risultare innaturali all'ascolto. Il pathos si scioglie poi in un ritornello da cantare a squarciagola (uno dei tanti, qua dentro), in cui tuttavia i vibranti power chords seguono una traiettoria tutt'altro che lineare, fermandosi e riprendendo quasi in contrasto con la linea vocale. Già da questa canzone si possono desumere tutti gli elementi caratteristici dei Nothing But Thieves: una voce tenorile, sulla falsa riga dei vari Yorke o Jeff Buckley, ma più potente, la cattiveria nel suonare degna dei migliori complessi hard rock degli anni '70 e una formidabile naturalezza nello scrivere inni d'impatto immediato, senza perdersi mai in fronzoli. Sorprende la sequela degli iniziali quattro brani, in cui spicca, oltre alla già citata Itch, la magia dell'iniziale Excuse Me, dove Mason può mettere in mostra tutto il suo talento librandosi su vocalizzi estremamente evocativi nel ritornello. Si parlava più sopra dell'influenza degli Arctic Monkeys su questo album: ne si trovano chiari esempi nell'altro singolo di maggiore impatto, Trip Switch, dominato nelle strofe da un pachidermico basso r'n'b, con la voce che ondeggia sensuale nelle strofe, per poi lanciarsi a pieni polmoni sopra il riffone sincopato del ritornello, e in Graveyard Pins, davvero una canzone di gran classe, non fosse altro per il brillante accorgimento adottato nel bridge, che dapprima aumenta la tensione con una scala in crescendo, poi la sopprime momentaneamente con l'ingresso della chitarra acustica a riprendere la sequenza di accordi delle strofe, sui quali però la linea vocale è modificata e va ad inventarsi quasi un secondo ritornello, riconoscibile almeno quanto quello principale. Sempre sul versante crossover rock - r’n’b, si trova Hostage, brillante commistione di strofe cupe, pervase da penetranti feedback chitarristici e spiazzanti ritornelli, dolci come carezze, dove la chitarra in clean arpeggia delicata.

In definitva, un disco che riesce ad essere focalizzato verso il suo obiettivo programmatico, ma al contempo si rivela molto variegato e scorrevole, con perle disseminate un po' ovunque nel corso della scaletta, persino nelle bonus track della consigliata versione deluxe. In particolare, lascia di stucco come possano essere state considerate b-sides le bellissime Hanging (che, sarà per mia suggestione, potrebbe sembrare un incrocio pericoloso tra i Monkeys e i Suede) e Neon Brother, drammatica e romantica canzone indie rock capace di esplodere in un ritornello che non so quale stadio potrebbe essere in grado di contenere.

Purtroppo, ciò che impedisce a questo debutto di essere assolutamente perfetto è la presenza di alcune ballad non molto riuscite, quando non proprio bruttine (la peggiore in tal senso è probabilmente Lover, Please Stay, guarda caso la più direttamente assimilabile allo stile di Matthew Bellamy e soci). Non si capisce bene il motivo per cui non si sia preferito creare un LP interamente aggressivo o comunque senza cali di tensione. Forse per tenere fede all'estetica dicotomica muscoli-zucchero, storicamente baluardo degli hard rockers, in ogni caso, si parla di un numero esiguo di prove più opache, che non inficia granchè la bellezza dell'insieme.

Debuttato immediatamente in top 10 in UK e addirittura primo nella classifica dei vinili venduti, sembra che il quintetto stia raccogliendo meritatamente i frutti di una musica che non può che essere pensata per incontrare il favore del pubblico e che legittima il proprio successo attraverso un indubbio talento compositivo ed esecutivo. E in tutto ciò il nostro caro NME, giusto per citare quella che è la testata musicale più importante d'Inghilterra, cosa fa? Manco li recensisce. Se ci si rifiuta di riconoscere almeno uno status a un gruppo interessante, creativo, britannicissimo nella sua proposta e che sta ottenendo pure un buon riscontro, non lamentiamoci poi se tutta l'attenzione viene riservata alle (spesso) deleterie proposte di riviste dell'altra sponda dell'Atlantico...

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 13 voti.
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Cas 8/10
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fgodzilla 8,5/10
Dr.Paul 5,5/10

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Cas (ha votato 8 questo disco) alle 17:58 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Molto bello! L'unica ballad inudibile è "Lover, Please Stay", per il resto è un lavoro pressoché perfetto

Lepo, autore, alle 20:08 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

A me non dispiace If I Get High, con quei belli arpeggi vagamente emo. Le altre, boh, le trovo davvero anonime, ben altra cosa rispetto alla personalità dei pezzi più energici.

loson (ha votato 7,5 questo disco) alle 23:49 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Bella rece, sì. Concordo assai quando parli di prosecuzione del discorso inaugurato dagli Arctic Monkeys di "AM", specie per certe bonus track. L'influenza dei Muse neanche io ce la sento così tanto, molto più quella dei Radiohead. Sulla scena mainstream inglese definita "gloriosa" avrei qualche riserva, anche perchè non è tutta rivisitazione house '90s/Uk garage sulla scia di Duke Dumont, Disclosure e via dicendo. Di certo "quel" mainstream è peculiarissimo e, per molti versi, esaltante. Devo ancora trovare un album intero che mantenga le promesse dei singoli, però.

Lepo, autore, alle 10:01 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

Intanto, grazie come al solito per le belle parole .

Poi, mi si perdoni se ho voluto un po' semplificare per esigenze di fruibilità e per non scrivere una recensione nella recensione eheh tagliando corto sul fatto che la scena mainstream inglese non è tutta e solo house/garage, però è pur vero che è il genere che l'ha contraddistinta e caratterizzata maggiormente negli ultimissimi anni. Dici che non trovi un album intero che soddisfi le premesse dei singoli? In effetti non sono molti (ma per molta dance è stato così anche in passato, la cosa importante sono quasi sempre i singoli), io qualcuno l'ho trovato però: il debutto dei Disclosure, ad esempio (probabilmente il migliore), quello degli Years&Years quest'anno (anche se già so che a te non piace ghghgh), Sirens dei Gorgon City, Little Red di Katy B, che non è del tutto inglobabile nella scena, ok, ma ne prende parecchi spunti, l'interessante seppur imperfetto Knockin' Boots di Julio Bashmore quest'anno... Poi si può anche discutere sul fatto che gli stessi singoli dance finiti in cima alle classifiche inglesi non siano mica tutti rose e fiori, manco a me piacciono tutti eh, però ce ne sono stati davvero parecchi ad avermi colpito e non poco, da qui il 'gloriosa'

loson (ha votato 7,5 questo disco) alle 23:51 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

"Devo ancora trovare un album intero che mantenga le promesse dei singoli, però." ---> Non che sia un problema di per sé, è una semplice constatazione.

loson (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:09 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

"Dici che non trovi un album intero che soddisfi le premesse dei singoli? In effetti non sono molti (ma per molta dance è stato così anche in passato, la cosa importante sono quasi sempre i singoli)" ---> Verissimo, non era mia intenzione subordinare il valore di una scena al fatto che essa riesca ad esprimersi compiutamente nel formato album (il quale peraltro è un formato che non durerà ancora a lungo). Come ti dicevo, è stata una constatazione un poì così, ad minchiam. Nulla da dire nemmeno sul resto dell'intervento. Julio Bashmore devo ancora ascoltarlo.

Dr.Paul (ha votato 5,5 questo disco) alle 15:37 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

ammazza se non si sentono i Muse.....io li sento in dosi massicce! il disco non mi dice niente! Giacomo, genere hard rock? questo è il nuovo hard rock?

Lepo, autore, alle 20:23 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

Punto somiglianze coi Muse: mah, io francamente non ne sento così tante, se non in un paio di pezzi (due ballad tra l'altro) che melodicamente sono molto simili a quello stile... Per il resto, di tutt'altra pasta mi pare la raffinatezza di questi Nothing But Thieves, mi viene in mente così al volo un parallelismo tra due canzoni di entrambe le band che presentano una struttura simile, cioè Time Is Running Out dei Muse e Trip Switch di NBT: entrambe presentano strofe sorrette da possenti giri di basso che sfociano in un ritornello epico, ma mentre in quella dei Muse si vuole raggiungere l'enfasi esasperandola a tutti costi (il basso nella strofa è distortissimo, il bridge per il ritornello oltremodo tirato per lunghe e banalotto, così come banale è la linea vocale nel ritornello stesso), l'epicità nell'altra sfocia in maniera più naturale e sofisticata (il riff di basso è sì potente ma non pacchianamente distorto per forza, il cantante non ricerca sempre e solo il vibrato enfatico e sforzato tipico di Bellamy). Poi, per carità, questo paragone può essere limitante e lasciare il tempo che trova, però anche in generale, la pur consistente capacità tecnica dei muse si esprime per lo più in assolazzi tamarri o in sboronate (non saranno tutte così le loro dimostrazioni di tecnica, chiaro, non è che abbia ascoltato con tutta questa attenzione tutti i loro dischi, il masochismo non fa per me ghghgh) e spesso non così pertinenti, le basi sono spesso davvero sempliciotte, l'ambiguità (per me motivo di grande fascino in musica) è quasi sempre pari a zero, mentre in questo disco spesso e volentieri gli strumenti interagiscono tra loro in maniera tutt'altro che banale (incastri bizzarri, strumenti che entrano ed escono spesso, frequente e a tratti spiazzante variazione nelle dinamiche sono alcune caratteristiche qui presenti), almeno alle mie orecchie (qualche esempio specifico l'ho portato in recensione). Anche sulle influenze, in comune i due gruppi hanno esclusivamente in comune il rifarsi a una certa fase dei Radiohead, quella più alt rock era The Bends-ok computer in un'ottica più 'pompata', ma poi ben poco... Nei muse c'è la teatralità tipica dei Queen, qui l'immaginario di riferimento è decisamente più vicino a certo indie rock degli ultimi anni, anche in fase di produzione e di trattamento dei suoni. Io ci sento anche delle vicinanze coi recenti bilderbuch, per dire.

Punto hard rock-non hard rock: anche qui, la grana di riff di chitarra, batteria pestona e basso deciso ma raramente protagonista mi ha ricordato parecchio quelle sonorità, Black Sabbath per esempio... Forse più che 'nuovo hard rock' si può parlare di 'nuova via per l'hard rock', dal momento che sono ormai diversi i gruppi che tentano questa commistione rock duro- r'n'b (commistione che per me, chiaramente, sta dando ottimi frutti). Poi, non c'è solo hard rock chiaro, infatti come secondo genere ho scritto indie rock, cioè un genere che in teoria dovrebbe avere tutt'altri valori sonori ed estetici e la cui fusione, dà origine ad un lavoro affascinante e... ambiguo!

Tu a quale genere/i li assoceresti, invece?

Dr.Paul (ha votato 5,5 questo disco) alle 23:43 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

hard rock, no era solo un pour parler....non saprei associare un genere se non un vago pop rock. riguardo i muse ok le ballad, ma è anche una certa scelta di produzione di fondo (che non sopporto in verità), e la voce urticante che me li riporta alla mente. eh vabbè...

Lepo, autore, alle 12:45 del 11 dicembre 2015 ha scritto:

Eheh in effetti sulla 'questione muse' ho scritto un bel pistolotto, ma è una considerazione che avevo già letto non soltanto da te e volevo spiegare in generale perché personalmente non mi trova d'accordo, visto che in recensione, sempre per motivi di scorrevolezza ho preferito non approfondire

fgodzilla (ha votato 8,5 questo disco) alle 16:03 del 11 dicembre 2015 ha scritto:

nonostante la voce odiosetta alla muse musicalmente come dicono igggovani di oggi Spaccano di brutto

Robinist (ha votato 7 questo disco) alle 20:25 del 10 febbraio 2017 ha scritto:

Concordo sul fatto che la somiglianza sia molto più con i primi Radiohead che con i Muse, anche se per me non ci sarebbe da vergognarsi

Bella recensione

baronedeki (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:03 del 11 febbraio 2017 ha scritto:

Ottima recensione ancor di più dove avere ascoltato l'album condivido in pieno alcune ballad andavano tolte o sostituite.

Lepo, autore, alle 18:11 del 11 febbraio 2017 ha scritto:

Grazie ad entrambi!