R Recensione

10/10

Pink Floyd

Ummagumma

La storia, le vicissitudini, l’evoluzione dei Pink Floyd sono così peculiari e affascinanti da assumere statura di vero e proprio romanzo. Al di là dell’effettiva valenza della produzione musicale per la quale vale comunque e soprattutto il gusto soggettivo, vi è senz’altro un “unicum” di forte attrazione per le vicende che stanno dietro alla loro musica, cui non è da ritenersi secondaria l’enorme portata storica di questo gruppo, al tirar delle somme inferiore solamente a quella dei Beatles nella memoria collettiva mondiale.

E di questo romanzo “Ummagumma” rappresenta il quarto, sostanzioso capitolo: a quel tempo Syd Barrett, punto di riferimento creativo e di immagine degli inizi di carriera era fuori dai giochi da più di un anno, ma i suoi ex compagni ed il suo successore David Gilmour stavano ancora nel pieno di una lunga fase di rifondazione, che durerà tre anni e ben quattro album fino ad “Atom Heart Mother” compreso. Un triennio di esperimenti, di tentativi, di autoindulgenze e di intuizioni alla ricerca del suono Pink Floyd compiuto, che approderà felicemente al porto di “Meddle” per poi esplodere clamorosamente con le successive opere degli anni settanta.

Anche “Ummagumma” è quindi opera (fascinosamente) transitoria, ambigua, anomala sin dalla sua struttura di base: una parte dal vivo, un’altra in studio nella quale i quattro lavorano preterintenzionalmente da separati in casa, componendo ed eseguendo ciascuno una porzione del tutto, senza alcun aiuto da parte dei compagni. Più che una sfida una voglia di eccentricità, un “lo famo strano” costi quel che costi, consentito da un’irripetibile epoca di spinta idealistica e culturale, non solo in campo musicale.

Al tastierista Rick Wright, colui che aveva concepito l’idea di opere separate, l’onore di aprire le danze con “Sysyphus”, suite in quattro movimenti piuttosto pretenziosa con corali barocche alternate a pianismi romantici (a riferimento: Chopin) e all’opposto free (a riferimento: Monk). Wright vi riversa tutta la sua voglia di musica “seria”, senza possederne sufficiente statura artistica né completezza strumentistica (le percussioni sono suonate assai fuori tempo). A dirla tutta, un discreto polpettone autoindulgente.

Le sorti del disco sono subito risollevate dalla sezione che ha come protagonista Roger Waters: questi è tutt’altro che musicista naturale, ma è invero dotato di grande concettualità e strutturalità, con le quali forgia per l’occasione una mirabile ballata acustica descrittiva delle bellezze della natura contrapposte alla grigia urbanizzazione, a titolo “Grantchester Meadows”. Roger condisce l’evocativa sua progressione di voce e chitarre con una farcitura di iperrealistici effetti, tutti scovati nella fornitissima riserva di nastri dello studio di Abbey Road (luogo dove si registravano abitualmente anche commedie ed altro destinato alla radio). Mitica, alla fine della canzone, la trovata del moscone che rimbalza tra un lato e l’altro dell’immagine stereo, inseguito da ripetuti, indispettiti colpi di giornale, fino a quello fatale.

Il bassista si addentra poi nella più limpida sperimentazione rumoristica, sovrapponendo una miriade di brevi “loop” di nastri (niente computers, al tempo!) con la sua voce che esegue versi per lo più di animali (quali, non è dato saperlo, o intuirlo) ma c’è anche un “pitto”, un uomo primitivo, nell’allegra combriccola. La gazzarra, una specie di jam session etnica, va avanti per un bel pezzo finchè entra in gioco un (finto?) ubriaco Waters che biascica frasi senza senso con accento scozzese…tutto questo in un album che arriverà sesto nella classifica inglese, proprio altri tempi! Il sobrio titolo della (ehm) canzone è traducibile in “Parecchie specie di piccoli animali da pelliccia riuniti insieme in una caverna mentre fanno ritmo con un Pitto”.

Se Waters è musicista per passione, volontà e organizzazione, Gilmour è invece musicista naturale, pieno di armonia e melodia nel suo approccio. Il suo contributo “The Narrow Way” mostra i pregi strettamente musicali del nostro, senza neppure sfiorare la profondità e strutturalità del suo compagno bassista. Il brano, diviso in tre distinte parti missate insieme l’una dopo l’altra, è un esercizio di buona melodia, ottime chitarre, suggestivi intrecci e bel canto…insomma. Buona parte della grandezza dei Pink Floyd futuri si dovrà alla coesione fra questi due talenti così diversi e complementari: il bassista intenso e progettuale, il chitarrista armonioso e “orecchiabile”. Quando l’unione fa la forza.

Infine Nick Mason risolve la sua idiosincrasia alla composizione e al non saper maneggiare altro strumento che le percussioni giocando anch’esso, nella sua “The Grand Vizier’s GardenParty”, con i nastri in studio mettendo insieme un mazzetto di “loop” con incise semplici figure ritmiche (simboleggianti i diversi avventori della festa…) e montandole poi in successione. Mason però “bara” avvalendosi di un aiuto esterno, anche se assai intimo: le sonatine di flauto di introduzione e di epilogo sono eseguite infatti da sua moglie. Episodio tutt’altro che memorabile comunque.

In antitesi con lo sperimentalismo, la diversificazione, la libertà e l’autoindulgenza della parte in studio di Ummagumma, quella dal vivo (che la precede nel cd) presenta invece i Pink Floyd nella autentica accezione di gruppo, magnificamente coeso e sicuro. I quattro classici, ripresi dalla tournèe nelle università inglesi dello stesso anno, fanno tutti ottima figura in versione dilatata e brillante rispetto all’originale in studio.

Si comincia con uno dei capolavori del povero Syd Barrett, “Astronomy Domine”: comprensibilmente privata della stralunata, inimitabile carica dadaista e psichedelica del suo compositore, acquista peraltro in potenza e compattezza. Gilmour, al contrario di Barrett chitarrista molto impostato e riverente (alla scuola rock blues), conduce il pezzo da par suo innestando poi il wah wah per uno dei suoi assoli più riusciti. Il brano si acquieta lentamente nella parte centrale facendo emergere la nenia mistica di Wright all’organo Farfisa, così suggestiva a rappresentare un’astronave fluttuante nelle vuote immensità. Nessuno fiata nella sala da concerto e l’atmosfera è veramente fantastica, poi il tastierista viene progressivamente raggiunto dai compagni per un’altra strofa finale, l’astronave rolla e ruggisce nuovamente nell’atmosfera di qualche pianeta e lentamente accosta e spegne i motori: splendida.

La seguente “Careful With Axe Eugene” vede il gruppo esordire con una ieratica armonizzazione su un unico accordo, ad efficace rappresentazione di uno stato sonnambolico, dopodichè la proverbiale tragedia con l’improvviso intensificarsi dell’esecuzione, Waters che soffia nel microfono l’ammonimento del titolo e poi le urla strazianti e la jam session furibonda, sempre su quell’accordo, fino a fatale acquietamento: splendida anche questa.

Set The Controls For The Heart Of The Sun”, altro bel titolo da fuori di testa, ricalca lo schema di “Careful…” con un monocorde bordone in progressiva intensificazione, raggiungimento di un culmine parossistico e quindi lenta regressione. Il brano resta quasi completamente strumentale, con Mason che indugia sull’effetto tribale dei timpani e Wright che disegna figure arabeggianti e mistiche.

Più o meno simile l’atmosfera all’inizio di “A Saucerful Of Secrets”, prima suite composta dal gruppo nella sua carriera (dà il titolo al loro secondo album) e quindi esecuzione ancora più dilatata delle precedenti. Dopo alcuni minuti il brano ha uno scarto con Mason che con le bacchette di feltro smette di martoriare i piatti e si rivolge ai timpani, Gilmour continua ad emettere rumoristica varia dalla sua Stratocaster finché emerge Wright, lasciato di nuovo solo prima col Farfisa e poi con l’Hammond a disegnare suggestivi e solenni accordi che sfociano infine nella corale di Gilmour, sostenuto da tutto il gruppo. Episodio a mio parere discretamente gratuito dal punto di vista dei contenuti musicali, ma di storica importanza segnando la svolta dei Pink Floyd dalle canzoncine psichedeliche (e geniali) di Barrett alle robuste, concettuose (e affascinanti) suites che verranno.

Un vero peccato che a suo tempo, per ragioni di spazio, non sia stata inclusa l’esecuzione dal vivo della grandiosa “Interstellar Overdrive” (sempre di Barrett) e non sia neanche stato possibile recuperarla al momento della trasposizione dell’opera su cd. Pare siano irrimediabilmente spariti i master...

Disco assolutamente unico, Ummagumma rappresenta l’evoluzione del gruppo come nessun altro ed il suo ruolo all’interno della discografia dei Floyd è certamente centrale.

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Voto degli utenti: 8,5/10 in media su 64 voti.

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DonJunio (ha votato 9 questo disco) alle 21:15 del 23 febbraio 2007 ha scritto:

ave pierpaolo

recensioni enciclopedica e veramente ben fatta...è da molto che nn ascolto ummagumma, ma ne serbo un bellissimo ricordo....

ummagumma (ha votato 9 questo disco) alle 11:39 del 24 febbraio 2007 ha scritto:

:=))

Ottima recensione...sono perfettamente d'accordo per quanto riguarda il confronto tra waters e gilmour

Arnold Layne (ha votato 9 questo disco) alle 4:23 del 16 marzo 2007 ha scritto:

Bella, però..

..avrei un paio di cose da chiedere al recensore: -cosa intendi con "Il brano resta completamente strumentale" riferendoti a "Set the controls for the heart of the sun"?

-cosa intendi per "gratuito dal punto di vista dei contenuti musicali" riferendoti a "A Saucerful of secrets"?

E poi una sottigliezza, il titolo esatto è "Careful with that axe, Eugene".

Per il resto, davvero un ottima interpretazione di questo disco, abbastanza tecnica e entusiasta ma senza eccedere, cosa difficile quando si parla di Pink Floyd (almeno per me).

Complimenti anche per il periodo introduttivo e per la descrizione di alcuni brani, in particolare Astronomy Domine, magnificamente "rivisitata".

A mio avviso questo ripartirsi il lavoro (i compitini a casa, eh eh) tra i quattro è stata fonte di spunto per i loro "colleghi" e amici Soft Machine sul loro fantastico disco "Third", mi sa che anche Wyatt disse qualcosa a riguardo.

E infine una piccola curiosità: il testo di "A narrow way" ad opera di Gilmour fu volutamente non inserito nel booklet originale perchè ritenuto (da Waters?) poco significante. D'altronde il buon David non è certo conosciuto per i testi..

In quanto al mio parere sul disco, parla il voto.

PierPaolo, autore, alle 8:34 del 19 marzo 2007 ha scritto:

Benvenuto Arnold

Non rubare più la biancheria però eh!

"A Saucerful Of Secrets" la vivo così Arnold, un assemblaggio di atmosfere senza vera ispirazione. Pareri, feelings, non me ne volere.

Arnold Layne (ha votato 9 questo disco) alle 20:50 del 26 aprile 2007 ha scritto:

Ci ripenso

Ripensandoci bene, penso che un 8,5 sia più giusto, considerando che il disco in studio non è proprio perfetto, e la versione live di Astronomy Domine non emoziona come quella originale con Barrett, e inoltre preferisco A Saucerful of Secrets com'è nel live a Pompeii, specie nelle Celestial voices finali. Quindi..

greg ranieri alle 15:25 del 27 aprile 2007 ha scritto:

Grandioso, ho una leggera preferenza per il disco live.

ThirdEye (ha votato 10 questo disco) alle 1:37 del 8 agosto 2008 ha scritto:

Che dire?

prinz1 (ha votato 9 questo disco) alle 16:42 del 12 agosto 2008 ha scritto:

Tralasciando la magnificenza del disco live

mi limito a commentare gli inediti in studio. Wright pretende un po' troppo da se stesso soprattutto nelle parti 2 e 3, Waters ha una grandissima interpretazione vocale ma una non perfetta abilità nel maneggiare l'acustica in "Grantchester Meadows", mentre è sicuramente geniale la trovata di "Several spieces of small furry animals gathered together in a cave and grooving with a Pict" (ci tengo a scriverlo tutto per intero), brano paragonabile al beatlesiano "Revolution 9" quanto a non-musicalità. Splendida la suite di Gilmour e magnifico anche il lungo assolo di Mason. Non la penso come Pier Paolo quanto ad "A saucerful of secrets" (concordo con il recensore del disco omonimo su questo sito) e confermo l'ipotesi di Arnold Layne che è stato Waters a rifiutare le liriche di Gilmour per "The narrow way". Il loro album meno orecchiabile (ma non per questo meno bello) che, anche fosse uscito una completa schifezza (Waters dice che è un disastro, ma esagera decisamente) sarebbe stato comunque discusso e ascoltato per comprenderne l'importanza.

lev (ha votato 7 questo disco) alle 23:12 del 3 aprile 2009 ha scritto:

ostia! questo non l'avevo ancora votato, e devo dire che non mi ha mai fatto impazzire. la parte live è comunque un documento storico fondamentale. è la parte in studio che mi ha sempre lasciato un pò perplesso (grantchester meadows a parte).

lev (ha votato 7 questo disco) alle 23:12 del 3 aprile 2009 ha scritto:

ostia! questo non l'avevo ancora votato, e devo dire che non mi ha mai fatto impazzire. la parte live è comunque un documento storico fondamentale. è la parte in studio che mi ha sempre lasciato un pò perplesso (grantchester meadows a parte).

bart (ha votato 8 questo disco) alle 13:02 del 9 aprile 2010 ha scritto:

Di questo disco amo soprattutto la parte live, in cui i brani proposti sono migliori delle versioni in studio. Careful With That Axe, Eugene fa venire i brividi!

Delia alle 17:16 del 15 maggio 2010 ha scritto:

Delia request

Salve, è a conoscenza di qualche tesi di laurea che contempli l'analisi degli album Umma Gumma o Atom Heart Mother? Sono specializzanda in musicologia, e vorrei preparare la mia tesi finale su questi due capolavori, e sarei felice di sapere che qualcuno prima se ne sia occupato, così da poter dare un'occhiata ai contenuti, e magari trovare degli spunti interessanti. Grazie e a presto.

PierPaolo, autore, alle 23:28 del 31 maggio 2010 ha scritto:

@Delia

Non conosco tesi di laurea sui Floyd, ti consiglio comunque di rovistare il settore Musica di qualche buona libreria... la storia particolare e le canzoni uniche dei Floyd hanno dato origine a decine di pubblicazioni, tradotte anche in italiano.

Roberto_Perissinotto (ha votato 8 questo disco) alle 17:53 del 5 giugno 2010 ha scritto:

Il voto è una media un pò ingenerosa tra il 6,5 che darei alla parte di studio (idee rivoluzionarie come l'anti-musica e centrate come Grantchester meadows, Gilmour sempre godibile, ok però...troppo pretenziosa e di certo non impeccabile) e il 10 per la parte live (magnifica, dilatata, unica, immensa...ho finito gli aggettivi.),comunque sempre grandissimi Pink Floyd.

sandra12 (ha votato 8 questo disco) alle 14:10 del 10 aprile 2011 ha scritto:

non credo meriti 10 e la recensione non è da 10 ....... disco live splendido , disco in studio disomogeneo; syd ancora presente con astronomy domine che pero' è diversa dalla sua versione. per me merita 8

dalvans (ha votato 8 questo disco) alle 14:52 del 23 settembre 2011 ha scritto:

Difficile

Buon disco

PandaCiccione (ha votato 8 questo disco) alle 12:01 del 2 settembre 2012 ha scritto:

Il disco studio è noiosissimo, perchè suona artificioso e freddo. L'unico che fa bella figura è Waters, soprattuto in Several Species. Vale più che altro come esercizio di comprensione degli stili e delle tendenze dei membri della band, ma in realtà si capisce che i Pink Floyd sono molto (ma molto) di più della somma dei propri componenti e si intuisce che nessuno che eventualmente si metta in testa di fare da solo potrà nemmeno sfiorare le vette musicali del gruppo.

Il disco live è STRE-PI-TO-SO! (con una esecuzione di Saucerful of Secrets tra le migliori di sempre). Probabilmente i 40 minuti migliori della storia del rock.

Il mio voto 8 è una media tra il 6/7 del disco studio e il 10 del live, un tantino arrotondata per difetto per il fatto che i pezzi live erano tutti già editi.

alekk (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:06 del 15 febbraio 2013 ha scritto:

"careful with axe,eugene" e "a saucerful of secrets" sono opere d'arte. se il disco studio è interessante per le sperimentazioni ma oggettivamente non è eccezionale il disco live è incredibile,forse come letto in un commento poco sopra, i 40 minuti più belli della storia del rock. immensi

REBBY (ha votato 10 questo disco) alle 16:41 del 20 febbraio 2013 ha scritto:

"il disco live è incredibile: i 40 minuti più belli della storia del rock, immensi". Estremamente difficile esserne sicuri, ma dal punto di vista emotivo, quoto, quoto eheh

tramblogy alle 23:17 del 27 febbraio 2013 ha scritto:

Faccio una brutta figura se domando come si intitola il disco dal vivo...ehmmmm

REBBY (ha votato 10 questo disco) alle 9:08 del 28 febbraio 2013 ha scritto:

Sinceramente non capisco bene la domanda. Vedi se questo link ti può essere utile http://www.discogs.com/Pink-Floyd-Ummagumma/master/20692

tramblogy alle 14:30 del 28 febbraio 2013 ha scritto:

Scusami, rebby..forse ho capito..nel disco c'è anche una registrazione live...sto approfondendo..piano piano...compro tutto...con calma..non insultatemi...una fatica..ma sto entrando dentro nel mondo rosa....devi vedermi come reagivo con animals dopo che quello con la piramide non mi entusiasmava..mentre wish subito...e the wall bellissimo...ma poi animals mi e' apparso...ops..si va bhe ciaooo

REBBY (ha votato 10 questo disco) alle 15:33 del 28 febbraio 2013 ha scritto:

Umma gumma è un doppio, il primo disco Umma è live Gumma in studio eheh Umma un pelino, o forse tre, più di http://www.discogs.com/Pink-Floyd-Live-At-Pompeii/release/2655683

è l'album che amo di più dei Pink Floyd

Comunque chiaro che i miei Pink Floyd preferiti sono live e suittosi ghgh

tramblogy alle 9:33 del primo marzo 2013 ha scritto:

Thx!!...(voglio partire col primo...)

PetoMan 2.0 evolution alle 21:15 del 6 dicembre 2013 ha scritto:

Il live album è spettacolare, specie se ascoltato nelle circostanze giuste. Per quel riguarda il disco in studio, lo trovo indecifrabile. Non lo definirei brutto, perché per me brutto vuol dire sgradevole, fastidioso, e non è questo il caso. Boh, forse è semplicemente troppo strano. In realtà credo - e in alcune interviste lo hanno anche ammesso - che non sapessero nemmeno loro cosa stessero facendo. Nonostante ciò è a suo modo suggestivo.

blaze94 (ha votato 8,5 questo disco) alle 15:38 del 5 novembre 2014 ha scritto:

Onestamente non capisco la coerenza tra la recensione e il voto. Se il pezzo di Wright è un "polpettone autoindulgente" e il Garden Party è "tutt'altro che memorabile" come puoi assegnare il massimo dei voti quando oltre venti minuti di album sono mediocri? Parlo per me, per quanto mi riguarda 10 è la perfezione assoluta

PierPaolo, autore, alle 19:31 del 12 novembre 2014 ha scritto:

Ti do ragione, non vorrei sbagliarmi ma a suo tempo non valutai 10 quest'opera, ci potrebbe essere un errore di trascrizione. Comunque poco male. Condivido il tuo voto, allora.

PehTer (ha votato 10 questo disco) alle 19:59 del 12 novembre 2014 ha scritto:

Beh la parte live è perfetta tanto da colmare le lacune di Sysyphus e Grand Vizier's, quindi il 10 è un voto più che sensato

blaze94 (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:42 del 12 novembre 2014 ha scritto:

Io onestamente non vedo questi grandi vizi in Sysyphus. L'uso delle percussioni e del piano si rifà direttamente a John Cage e in generale credo anzi che tra i pezzi originali sia di gran lunga il più interessante... Vizier invece è effettivamente sorvolabile ma neanche così tanto, io lodo gli esperimenti "tribali" della composizione masoniana, per quanto ingenua e per quanto dimostri che oltre a percuotere robe sia in grado di fare ben poco...

PehTer (ha votato 10 questo disco) alle 21:51 del 12 novembre 2014 ha scritto:

Beh dai è bravo a collezionare auto lol

faro alle 20:46 del 14 luglio 2015 ha scritto:

non vedo in sysyphus tutte queste pecche, anzi lo ritengo uno dei brani più belli dell'album soprattutto per la parte 2 che vede delle sperimentazioni molto interessanti e coinvolgenti. credo che wright sia molto sottovalutato e che fosse un componente fondamentale del mitico sound dei pink floyd.... per il resto concordo pienamente

IgnazP alle 22:54 del 14 dicembre 2017 ha scritto:

Album fuori dal tempo e dagli schemi. Un album lontanissimo e di un altro mondo, non riesco a catalogarlo. Non perfetto e non di facile ascolto, ma certamente grandioso, come Atom Heart Mother.

Utente non più registrat (ha votato 8 questo disco) alle 9:48 del 13 agosto 2018 ha scritto:

Anni fa sentii in giro gente che diceva che questo era il più brutto album dei Pink Floyd. Lo acquistai subito, ora è fra i miei preferiti. L'urlo di Careful Eugene non se ne andrà facilmente dalla mia testa

Vito (ha votato 10 questo disco) alle 19:39 del 25 dicembre 2019 ha scritto:

Disco leggendario e fondamentale, rappresenta l'ultimo grande album psichedelico ed il primo grande disco progressive. Basterebbe la parte live a renderlo un capolavoro

Utente non più registrat (ha votato 8 questo disco) alle 14:29 del 26 settembre 2020 ha scritto:

Quando i Pink Floyd hanno tentato di fare i seriosi intellettuali E CAZZO CI SONO RIUSCITI ALLA GRANDE - a dispetto di quanto dice molta critica e anche loro stessi (Pink Floyd io via amo e vi amerò sempre, ma lasciatemelo dire, come critici non siete mai valsi una cicca). Tutti sono confusi e spaesati eppure TUTTI trovano qualcosa di interessante da dire, Waters pesca a piene mani da Donovan e Zappa, Gilmour che in qualche modo si rifà al primitivismo americano ma anche ai Cream (??) (e The Narrow Way pochi cazzi è bellissima), Wright disumano visionario e Mason comunque più che dignitoso. E la parte live è indubbiamente uno dei live migliori del secolo scorso (Vabbè non è il Live Dead ok LO SO, però a qualità stiamo comunque messi benissimo).

Questo è uno degli album a cui sono più legato in assoluto. Quindi fanculo Let It Bleed e fanculo Abbey Road, io mi tengo il mio Ummagumma.