Harvey Milk
A Small Turn Of Human Kindness
Ritornano gli Harvey Milk, figli illegittimi dei Melvins, che con Life... The Best Game In Town mossero le acque intorbidite del southern blues contaminate dallo stoner lento e muscoloso.
A Small Turn Of Human Kindness sposta le coordinate oltre i confini del gruppo, che si immerge per un bagno rigenerante nel fango più denso ed oscuro che non lascia via di scampo, soffocando lentamente come sabbie mobili in cui ogni mossa velocizza inesorabilmente laffondo.
Sette tracce di puro sludge lento e magmatico che cola sui fianchi southern aridi del gruppo di Athens, dilatate fino allo spasmo tra esplosioni di alti muri di feedback, ritmiche rallentate e maestose ed inaspettate aperture orchestrali (I Know This Is All My Fault implode in una inattesa atmosfera di tocchi leggeri e solitari di pianoforte e sussurri sommessi).
Prendete il lamento grottesco posto in apertura di I Just Want To Go Home, un lento blues stirato al limite che si ritorce su se stesso in un assolo distorto, sghembo e malato. O la funerea I Know This Is No Place For You, straziata da un organo monocorde che affanna per uscire fuori dalla coltre fitta di larghe aperture strumentali. O il lento incedere della finale I Did Not Call Out, splendente di luce nera e maestose esplosioni strumentali squarciate da una voce gutturale e dilaniante.
Puro fango sui timpani.
Entrare in questo monolite nero, impetuoso ed impenetrabile, può risultare difficoltoso ed a tratti estenuante, ma A Small Turn Of Human Kindness è un disco che va rosicchiato lentamente, perché una volta penetrati in questa torre davorio oscura, un calore nero pece colerà lentamente sulle vostre membra stanche.
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