Kill the Young
Kill The Young
I Kill the Young sono un gruppo di Manchester formato da tre fratelli poco più che ragazzini che un giorno dopo aver girato un po di locali hanno trovato la porta giusta per sfondare e pubblicare questo primo album. Che bella favola.
Ok adesso che ci siamo levati limpiccio di presentare il contesto vi butto lì subito il mio pensiero: se il tipo che li ha scoperti si fosse dedicato a prendersi una bella sbronza invece di mettere sotto contratto questi ragazzi non penso che mi sarei tagliato le vene.
Si perché insomma la musica è quel che è. E io sono uno che in genere apprezza molto chi si richiama al suono classico garage rock degli anni 70. Però cè un limite a tutto per diamine! Non che lalbum sia proprio da buttare via intendiamoci. Il problema è la ripetitività ossessiva di un'unica canzone mischiata in diverse salse undici volte. Comunque cerchiamo di essere un po più critici: come già detto il gruppo ha come punto di partenza il cosiddetto new rock (Strokes, Black Rebel Motorcycle Club, Yeah Yeah Yeahs, ecc.) che imperversa negli ultimi anni quindi partiamo dal presupposto che non cè assolutamente niente di originale, nessuna volontà di provare anche la minima cosa nuova. Ne viene fuori un garage rock un po stereotipato e molto cazzerellone senza troppe pretese artistiche. Lo schema dei pezzi è abbastanza fisso e anche se un ascolto distratto glielo si può concedere volentieri ad una analisi attenta come quella fatta dal sottoscritto questo conformismo rockettaro annoia terribilmente.
Fare unanalisi dei pezzi risulta quindi particolarmente inutile data la ripetitività sfrenata ma per dovere di cronaca ci proviamo.
Follow, follow è abbastanza sempliciotta ma riesce dotata di una discreta carica energica. Origin of Illness è il primo singolo del gruppo e ci fa capire come si vogliano presentare: suono decisamente troppo curato, quasi plastificato che mi fa identificare il gruppo come un ibrido tra boy band di Mtv e next big thing di Nme. Insomma si capisce che si vuole presentare un punk rock (le influenze dichiarate dai membri sono non per niente i Nirvana, Smashing Pumpkins e compagnia bella) ripulito dallattitudine primordiale del punk: la ribellione. Cioè per dire è come una Porsche senza motore. Inevitabile restare a piedi.
E così si passa per No problems che gioca sugli stereotipi classici del rock, si arriva ad Addiction che comunque è già migliore delle precedenti. La batteria di Fragile sembra preannunciare un indispensabile cambio di ritmo che però non arriva, e anche la scossa data dal giro di chitarra a metà traccia resta qualcosa di troppo facile dal punto di vista tecnico. Do you notice evidenzia pure maggiormente la mancanza di grinta. All the world è il pezzo migliore: carino il giro di chitarra in sottofondo, meglio del solito il canto che riesce finalmente a trascinare un minimo lascoltatore, in generale ritmo più tirato e per questo godibile. No heroes è abbastanza fresca ma alla fine gli accordi sono sempre gli stessi. La sensazione di ascoltare la solita cosa trita e ritrita aumenta ancora di più con Sail away e Change the world. Si arriva finalmente alla fine con Kill your young e si tira finalmente un sospiro di sollievo. Rimane solo un gioco di parole: Uccidete i Kill the Young!
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