Murubutu
Luomo che Viaggiava nel Vento
Il quarto disco di Murubutu, uno dei rapper più atipici e interessanti del panorama italiano, si presenta fin dalla copertina come un secondo volume di un racconto ideale iniziato due anni fa con Gli Ammutinati Del Bouncin, del quale riprende non solo la grafica, ma anche lidea del disco a tema. Se in quel caso i racconti erano legati tra loro dalla presenza del mare, qui lelemento fondamentale scelto è il vento, presenza constante in ogni brano, che sovente diventa esso stesso personaggio principale. Un vento che modifica il percorso delle vite dei protagonisti, aiuta a fuggire, cambiare, prendere il volo. E la fuga è uno dei temi centrali del disco. I personaggi delle storie raccontate da Alessio Mariani fuggono da una vita fatta di lavoro umile, dalla povertà, da un paese ridotto in macerie dalla guerra, da una provincia che non dà speranza in un futuro migliore, da un matrimonio combinato.
E il vento diventa quasi forza creatrice, come metaforicamente ci dice il titolo scelto per aprire il disco, quellAnemos che vuol dire vento, ma anche, simbolicamente, soffio vitale, anima (e il brano finale, si chiama, altrettanto simbolicamente, L'ultimo soffio). Anemos si apre con un arpeggio di chitarra su una base slow, e Murubutu dimostra subito le sue doti di cantastorie, a cavallo tra rap e canzone dautore, con il suo consueto uso della lingua italiana ricercato e colto. In La bella creola i suoni acustici fanno da sottofondo a liriche inusuali per lo standard medio del rap italiano, con un linguaggio raffinato e pieno di citazioni, e chiari riferimenti allimportanza dellistruzione, della quale la protagonista è la personificazione. E la cultura, in particolare quella classica, è ben presente in molti brani, a partire da Il re dei venti dove, su una base di suoni elettronici ritmati e scratch da old school, si racconta la nascita dei venti secondo la mitologia greca, e la loro personificazione.
Il suono del vento inserendosi tra un brano e laltro diventa uno strumento del disco, e accompagna tutti i personaggi che lo popolano. Il vento aiuta Giulia a superare le difficoltà della vita nella toccante Grecale, aperta dalla melodia classica di un pianoforte, in cui la protagonista corona la sua passione per la danza, studiando duramente e lottando per emergere nonostante le difficoltà della sua condizione, e, nonostante la cecità, arrivare a danzare come il vento. Il vento spinge Paolo a fuggire in Scirocco, a scappare da una provincia fatta di palazzi, eternit, eroina, in cui il vento è lunica cosa a dare la speranza di riuscire a evadere. Ottimo qui il featuring di Rancore, un altro dei pochi rapper italiani che sanno raccontare storie senza cadere nei luoghi comuni del rap tricolore. Tragico il finale con la morte del protagonista durante la fuga in moto. Il vento diventa esso stesso personaggio protagonista, nella battaglia raccontata in L'armata perduta di Re Cambise: qui, su un arpeggio di chitarra, lo splendido flow del rapper emiliano narra la storia di unepica battaglia dellantico Egitto in cui il vento diventa un attore in campo, sconfiggendo un esercito di cinquantamila uomini. Una grande lezione di storia a tempo di rap.
Storie ambientate in epoche e luoghi diversi, con le quali Murubutu ci accompagna in un viaggio attraverso i secoli e i continenti, partendo dalla mitologia greca per attivare ai nostri giorni, incontrando personaggi comuni, popolari, che lottano per vincere la sorte, e a volte soccombono. Come la Maria di Linee di libeccio, che in unItalia uscita in macerie dalla seconda guerra mondiale sposa un militare americano e va a vivere in Connecticut, per scoprire che il sogno americano forse non esiste. Come la Mara di Mara e il maestrale, brano aperto dalle onde del mare e un arpeggio di chitarra acustica: un esempio di come scrivere una storia damore e di emigrazione in maniera originale, evitando di cadere nei luoghi comuni della musica leggera. Ma la lotta contro il fato può anche essere vincente, come per la Giulia di Grecale, o per la Dafne di Dafne sa contare, che per fuggire ad un destino già scritto (come da tradizione sposerai un vecchio ricco) si trasforma in vento.
Spicca su tutto la capacità di Murubutu nel destreggiarsi con la lingua italiana, dando prova di grande capacità di scrittura in Isobarre (splendido gioco di parole), e raggiungendo in Bora vertici di poesia inusitati nel mondo della canzone (se non nei cantautori più colti), senza perdere però il suo essere profondamente rap, con un flow veloce e incontenibile per raccontare la potenza del vento di Bora. Una originalità evidenziata anche dai featuring presenti nel disco. Qui non troviamo i soliti nomi del giro rap che conta, ma, oltre al già citato, grandissimo, Rancore, ecco che in Levante arrivano Dargen D'Amico e Ghemon; una strofa a testa, per un vero e proprio sfoggio di bravura per i tre rapper più particolari e originali del panorama tricolore. Il disco si chiude con L'uomo che viaggiava nel vento: un omaggio alla passione del volo col deltaplano, che rappresenta la sfida al vento e la realizzazione del sogno delluomo, da Icaro a Leonardo, quello di volare.
Un lavoro prefetto dal punto di vista concettuale, e splendidamente realizzato dal punto di vista musicale, che conferma Murubutu uno dei migliori rapper italiani, capace di condensare in tre minuti storie che potrebbero riempire libri interi.
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