Arctic Monkeys
Tranquility Base Hotel & Casino
Tutti, a ragione, si aspettavano un AM parte due; ma ecco Tranquility Base Hotel & Casino, disco di architetture lounge rock: posato, glamour, un po sinistro, scritto inizialmente da Alex Turner su una Steinway Vertegrand nella propria stanza a Hollywood e prodotto, in ultimo, insieme a James Ford. Un lavoro completamente orientato allescapismo, quale rigetto delle logiche alienanti della contemporaneità, di conseguenza isolato, versato in pose à la Bowie e a là Lennon, e fuori dal tempo.
Chiaro, così, che laspettativa per un disco insieme muscolare, infarcito di ballate e pop song dai modi R&B sia stata ampiamente delusa; ma cè, ugualmente, molto di cui godere in questa fuga dal reale. Uno Statio Tranquillitatis musicale su cui Turner canta come appartato (e sprofondato come un personaggio psicotico kubrickiano) al tavolo di un locale losangelino anni 70, sorseggiando Martini e impegnato a ricapitolare iconograficamente una (sua) realtà da retro fantascienza - a trama socio-cinematografica.
Autocoscienza (anche sullessere celebrità: <<Im a big name in a deep space / ask your mates>>), definizione di rapporti (<<I want to stay with you my love / in the way that some science fiction does>>) e critica sociale (<<breaking news /they take the truth/ and making fluid>>) si riversano in una cascata dimmagini: gentrificazione lunare, Martini Police, Jesus in the day spa e chat with God in video call.
Gli altri componenti degli Arctic Monkeys hanno dovuto, giocoforza, curvarsi al mood di Turner e mettersi al servizio di questa idea (rodata, i più attenti lo avevano intuito, durante lultimo episodio del side project Last Shadow Puppets, Everything Youve Come to Expect): le ritmiche, i riff sfogati delle chitarre, le linee di basso risultano, in TBH&C, ampiamente sedati e rimodellati rispetto al passato.
Idea guidata dal piano, si diceva, e non più dalla chitarra, il quale ha trasformato il processo creativo del leader, conducendolo verso scenari inediti e cantautoriali. Sul limite, a volte, jazzistico (smooth ed elementare: Star Treatment), o dentro un pop spaziale e morbidamente vorticoso (American Sports, Science Fiction), altre volte intimo (e nostalgico: <<Still got pictures of friends on the wall / I suppose we aren't really friends anymore >> in Ultracheese); il tutto, tenuto assieme da theme ricorsivi (il discorso intrapsichico e politico, di vuoti e acidità della chitarra, Golden Trucks) e contrappuntati. La chitarra si limita, questa volta, a brevi sfoghi (nel bridge di One Point Perspective, nel groove psych e fisico di Four Out Of Five, nel solo beatlesiano di She Looks Like Fun, di sghimbescio in Science Fiction), pur essendoci in ogni episodio.
Voleva semplicemente essere uno degli Strokes quando tutto è partito (2002), ma ora Turner è leader maturo e consapevole, capace di reinventare ancora una volta, e in modo ancor più radicale, lestetica degli Arctic Monkeys, accompagnando lascoltatore in un volo di certo non facile come cantano, ma estremamente affascinante.
Una reale boccata dossigeno, Tranquility Base Hotel & Casino, nella frenesia degenerata di questo fine anni 10.
Tweet