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R Recensione

7,5/10

Everything Everything

Arc

Difficile (o forse facilissimo) individuare un collante, un principio unificatore che condensi e riassuma le differenze tra Man Alive e quest'ultimo Arc, se non mettendo da parte per un attimo le questioni stilistiche – che pure sono prolungamento (e perchè non premessa?) della presumibilmente mutata attitude – e soffermarci, per una volta, sulle parole dei diretti interessati. “Con Arc volevamo fare un disco che colpisse al cuore” afferma Jonathan Higgs, voce e tastiere degli Everything Everything. Come ogni tentativo di “spiegare” il proprio lavoro, l'affermazione va presa con le molle. Primo, perchè rischia di creare fraintendimenti clamorosi (Man Alive disco che parla solo al cervello? Ma andiamo...); secondo, perchè il farsi più heartfelt non può certo qualificarsi come pregio se la traslazione di suddetta emotività comporta una banalizzazione dei valori messi in campo nell'esordio.

Insomma, posto che “colpire al cuore” è finalità implicita del pop nel suo complesso - nonché premessa cardine per instillare devozione nell'ascolto e finanche l'ipotetica comprensione di ciò che si ascolta - cerchiamo di capire in cosa consista questa nuova “apertura emozionale” e come essa agisca, o si riverberi, sul dato musicale, avendo sempre ben presente che non si tratterà di modifiche in senso assoluto ma relative a specifici segmenti del discorso accordale, melodico, armonico o sonoro. Un buon punto di partenza è la semplificazione delle strutture, con maggiore enfasi sul ritornello, sulla cantabilità. Prassi che porta, nelle sue declinazioni più frizzanti, alle aperture di Armourland e Radiant (trionfale l'hook chitarristico “tutto quarte” a coronare gli sviluppi di ciascuna sezione), in quelle più deleterie allo scimmiottare i Coldplay (Duet, la loro versione di Viva La Vida, è proprio bruttarella) o al finale appannato della coppietta The Peaks/Don't Try: l'una esemplificazione del “lento” nel quale il coinvolgimento emotivo dell'ascoltatore è inversamente proporzionale alle quintalate di pathos dispensate dai musicisti, l'altra innocuo giocattolo indie-rock immeritatamente sottratto al suo destino di b-side.

Il paradosso, semmai, è che la tendenza alla semplificazione dei ritornelli conviva col suo opposto: infittire le già arzigogolate trame delle strofe, col singolo Cough Cough a sancire il climax di frenesia math-pop e scientifico susseguirsi/accavallarsi di pattern ritmici, polifonie vocali, schemi contrappuntistici. Un procedimento bidirezionale, a ben vedere, del quale la già citata Armourland è prototipo: e quindi strofa rigurgito simil-wonky che definire frastagliata è poco, ritornello che scioglie la tensione con una fra le melodie più immediate che il quartetto abbia concepito. Kemosabe procede sulla falsariga di quest'ultima gocciolando estasi a catinelle, ed è anche un utile bignamino ove rintracciare le caratteristiche produttive/strumentali che informano Arc nel suo complesso. In primis il sound: più vellutato, malleabile, con il missaggio a togliere contrasto ed esaltare la sofficità delle partiture. Ecco le chitarre di Alex Robertshaw farsi traslucide, sempre fantasiose nel fraseggio ma meno istrioniche, più prevedibili nella gestione di effetti e cromatismi. Le tastiere suonano anch'esse meno “stereolabiane”, isteriche e ficcanti. Il basso resta l'irresistibile e complessa macchina che ha reso Jeremy Pritchard uno fra più originali e dotati nell'approcciare questo strumento (pure se un tantino penalizzato nell'economia dei nuovi pezzi), lo stesso dicasi della batteria di Michael Spearman. La voce di Higgs, infine, è sfruttata secondo modalità espressive del tutto coerenti con quelle adottate nell'esordio, per quanto ora maggiormente “settata” sul registro di falsetto.

In questo quadro, c'è posto anche per episodi che più ci ricordano gli Everything Everything del recente passato. Torso Of The Week prende le mosse da un r&b pelle e ossa per sfociare in quel territorio fra math, prog-pop e Bloc Party che è forse la cifra stilistica più riconoscibile all'interno della loro (sterminata quanto personalissima) gamma espressiva. Undrowned, impostata a mò di canone, tutta in crescendo, ammalia come ne sarebbero capaci dei Gentle Giant cresciuti nella generazione post-Radiohead. Su Choice Mountain basso e chitarra balbettano in muting su moduli costituiti da ostinati di biscrome che si distribuiscono a intervalli regolari nella battuta, placandosi soltanto se interrotti dal remoto cinguettìo di dulcimer e xilofoni. The House Is Dust è il lento che fa eccezione, l'unico a rinverdire i fasti di NASA Is On Our Side o Leave The Engine Room: una prima sezione caratterizzata dal sovrapporsi di batteria in 6/4 e il 4/4 seguito dal resto della strumentazione, con annesso sfasamento percettivo; a 1'30'' un intermezzo paradisiaco, rivelatore, che si scoprirà essere “semplice” premessa per una seconda sezione solo pianoforte e voce, lacrime sul viso e groppo in gola.

Nonostante i difetti rilevati con forse eccessiva severità (ma è normale essere esigenti quando il gruppo è di tale levatura!), Arc resta un buon disco, a tratti eccellente. Suona più normale di quanto ci si aspettava, meno arty, e ciò potrebbe deporre a suo favore al momento del fatidico contatto con le charts (sempre che il pubblico non si faccia sviare dai pessimi riscontri del precedente). Per ora godiamocelo, poi si vedrà. Con la sicurezza, però, che un Man Alive, a tutt'oggi uno degli esordi cruciali del nuovo decennio, resta inavvicinabile. E chissà che stavolta Pitchfork, nel tirare le somme, non riesca ad arrivare al 4.

V Voti

Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 11 voti.
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sfos 8/10
hiperwlt 6,5/10
mavri 7,5/10
salvatore 6,5/10
andy capp 8,5/10
zebra 7/10
REBBY 8/10

C Commenti

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Franz Bungaro alle 8:29 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Matteo, chapeau. Più che una recensione sembra il referto di un biopsia. Hai analizzato in modo scientifico, non disdegnando momenti più "romantici", ogni frammento del disco. Confesso di conoscerli poco loro, anche se ad occhio e un pò d'orecchio ("cough cough") credo siano dalle parti di Animal Collective e Deerhoof, quindi mi dovrebbero piacere. Ascolto l'album e voto.

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 8:58 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Per me credi male (che "siano dalle parti degli Animal Collective") e mi sa tanto che il Los ti ammazza

loson, autore, alle 10:19 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

In effetti ho inorridito leggendo quei nomi Animal Collective, EE: francamente non riesco a pensare a due gruppi più diversi. Se li conosci poco, ascolta questo e dopo buttati subito su Man Alive.

Franz Bungaro alle 10:46 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Ok, seguirò il tuo consiglio...sperò però che l'innorridimento non sia dovuto al tuo odio per quel gruppo...gruppo che io invece adoro...se invece è semplicemente dovuto all'accostamento, allora ti dico che "Cough cough" non mi sembra così lontana da "Moonjock" degli Animal...anzi, proprio vicina...gli altri singoli messi qui mi sembrano un pò "indie fighetti" ...ma ripeto, ascolto bene prima di esprimermi con un voto...

loson, autore, alle 11:34 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Invece sì, li odio Idiosincrasie a parte, il brano che citi è l'esaltazione del loro modus operandi che privilegia la frammentarietà del materiale, un approccio "free" alla composizione, aplomb lisergico, netta prevalenza dell'elettronica, nebulosità dei suoni: tutte cose che cozzano con il rigido calcolo, "math" appunto, che sta alla base di Cough Cough. Ma anche a livello di suoni/produzione/concezione delle parti vocali e strumentali, sono distantissimi dagli EE. Non intendo "migliori" o "peggiori", proprio distanti. Riguardo all'indie-fighettume: non sento l'esigenza di inquadrare per forza di cose un suono o un atteggiamento in categorie dispregiative, ma è indubbio che con questo album gli EE si siano avvicinati il più possibile a una versione "pop" del loro suono. Certo non li definirei mai indie-fighetti, termine che per me identifica più l'idea di suono/atteggiamento/estetica di cui proprio gli Animal Collective sono manifesto vivente.

Franz Bungaro alle 13:45 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Continuo a non vedere (e sentire) tutta questa incredibile differenza, nè nel sound nell'"atteggiamento/estetica", a cominciare dalla copertina di quest'album, la più hypster nel momento...a già, nessuno indossa i Ray Ban...e cmq se questi fanno "rigidi calcoli", ai Meshuggah dovrebbero dare il nobel per la matematica da qui all'eternità...

loson, autore, alle 14:09 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Non hai ascoltato Man Alive, e probabilmente nemmeno questo, quindi il tuo giudizio è per così dire approssimativo, consentimelo. La copertina è brutta e non ci piove, ma perchè hypster? I Ray Ban fanno diventare hypster? Un brano come Cough Cough (ma potrei farti altri dieci esempi) non è formalmente complesso, calcolato, studiato fin nei minimi dettagli? Dai, chiudiamo qua che è meglio... XD

Franz Bungaro alle 15:50 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Azz, Matte, io e te riusciamo a fare polemica pure quando ti faccio i complimenti..cmq, si lo avevo già detto e te lo confermo, non conosco praticamente nulla di loro, eccetto quello che vedo qui, che tra l'altro avevo ascoltato già (sul mio blog Kemosabe, (perchè nella tracklist non c'è?) l'ho passata una settimana fa, a dimostrazione che il poco che ho ascoltato sin ora mi piace)...ripasso quando avrò ascoltato bene tutto...

nebraska82 (ha votato 7 questo disco) alle 11:20 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

cough cough è molto bella, peccato solo per quegli acuti della voce che un po' infastidiscono. ripasso dopo che ascolto il disco. bellissima rece.

Filippo Maradei alle 12:31 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Questi non erano male... affatto, in "Man Alive" la (non) struttura strumentale che si scomponeva e ricompattava ogni tre accordi mi garbava assai, molto Foals nel sangue (se li conosci Franz, loro credo siano un riferimento più o meno valido ) Solo una cosa non mi è mai piaciuta di loro: quella cazzo di voce. Ci ho provato più volte, ma niente, è proprio il timbro (non tanto la modulazione) che mi infastidisce. E dal singolo che vedo qua, temo si ripeteranno croce e delizia. Matteo, inutile dirlo, sempre gargantuesco.

sfos (ha votato 8 questo disco) alle 15:35 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Man Alive ci ha messo molto a carburare con me, ma il problema era solo mio. Ora lo ritengo un disco incredibile e fondamentale per il suo intrecciare dinamiche innovative e al passo (se non avanti) rispetto ai tempi.

Arc si è svelato subito come un disco più immediato, ma non stucchevole, ci sono brani che dopo tanti ascolti continuano a emozionarmi, altri che irrompono con urgenza e vitalità. Lungo questi solchi capita qua e là qualche passagio a vuoto, ma in generale è una danza del cuore levigata e sincera. Ci sento molta crisideinostritempi, la necessità di non lasciarsi disarmare da essa. Ottima recensione Matteo.

P.S. Pitchfork è arrivato addirittura al 7.6, più di te

loson, autore, alle 17:12 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Pitchfork è arrivato addirittura al 7.6, più di te ---> Porc...! Riescono sempre a sorprenderti, quei pitchoni... Credo che la volontà di non farsi sopraffare dalla crisi e brutture della nostra epoca sia un tema portante dei testi. L'esigenza di rigenerazione era già presente in Man Alive (pensa a un brano come Tin (The Manhole), in cui a parlare è una sorta di spirito-guida che ha accompagnato l'umanità dai primordi e che si ripresenta per dissipare l'oscurità che la avvolge). The House Is Dust, in quell'ultima parte piano e voce, le liriche diventano così personali e "povere" (lo dico in senso positivo) da lasciare basiti, specie se paragonate alla Babele linguistica di Man Alive: ora subentra una sorta di self-training finalizzato accettare la propria finitezza e a riscoprirne il valore.

Ubik alle 19:55 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

Non mi piacciono molto, anche se alcune canzoni sono indubbiamente belle; beh riascolterò meglio sicuramente!

Franz Bungaro alle 8:37 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

Ho ascoltato l'album un paio di volte, e mi sembra semplicemente stre-pi-to-so. Tutte le tracce sono abbondantemente sopra la media. Ho sentito commenti negativi sulla voce del cantante. Azz, è uno dei punti di forza, secondo me. Agli Animal Collective, che continuo a tirare dentro, ora aggiungo Alt-J, Maccabees e Foals, come giustamente suggeriva Filippo. This is the pop I like. Vinile ordinato.

loson, autore, alle 10:01 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

Oddio, gli Alt-J tutt'al più possono essere stati ispirati dalle cose più eteree degli EE, non viceversa. I Maccabees giusto quelli dell'ultimo album (completamente avulso da quanto la band ha fatto in precedenza), ma anche qui mi sembra più un percorso parallelo: entrambi i gruppi, a un certo punto, hanno deciso di ammorbidirsi (nel caso degli EE un ammorbidimento "relativo") e far tesoro delle intuizioni pop dei tanto vituperati Coldplay. E poi stiamo parlando di una band che ha pubblicato il suo primo singolo a fine 2008 e il suo primo album quasi tre anni fa, mica degli ultimi arrivati...

brian alle 11:00 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

Il vero pifferaio magico è loson! Fa cambiare idea nel giro di qualche ora ai suoi subordinati, è la sesta o settima volta che accade da quando vi leggo! Bravo! Solo in Italia però ci puoi riuscire! Chapeau^^^^

loson, autore, alle 11:14 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

Ma quali subordinati... Franz e io ci troviamo raramente d'accordo su un disco o un artista, o almeno finora è stato così. Se questi gli sono piaciuti il merito è delle sue orecchie, io non c'entro nulla.

brian alle 11:23 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

italienische!^^^

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 15:40 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

A onor del vero Brian, leggendo bene, al contrario Franz sembra proprio una testa dura eheh visto che continua a "tirarci dentro gli Animal collective". No il Los, che certo è un buon divulgatore della musica che a lui piace, non mi pare proprio che l'abbia convinto. Tra l'altro l'avevo avvisato eh, ma lui niente, imperterrito

Franz Bungaro alle 13:11 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

come solo in Italia può succedere di essere italiani, parlare in italiano, e cmq non capirsi. Ho detto, ma più volte, che l'album non l'avevo ascoltato e che il giudizio l'avrei espresso solo ad ascolto totale ultimato. Cosa c'entrano i pifferi non l'ho capito. Ciao, e salutami Garrison!

salvatore (ha votato 6,5 questo disco) alle 21:30 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

Mmmm... io sono parzialmente d'accordo con brian! Mat, fattene una ragione: tu fai tendenza (non parlo del caso specifico e di Franz, beninteso)! Ma non si tratta di magia, brian, bensì di cultura musicale e talento per la volgarizzazione, tutto qui.

zagor alle 16:01 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

comunque si scrive hipster, rimandati tutti e due

nebraska82 (ha votato 7 questo disco) alle 14:17 del 19 gennaio 2013 ha scritto:

bello dai, prova convincente anche aldilà della voce.

hiperwlt (ha votato 6,5 questo disco) alle 22:23 del 21 gennaio 2013 ha scritto:

qualche cedimento di troppo secondo me, fatto che non porta gli ee a confermarsi sui livelli eccelsi di "man alive". peccato, perché i singoli e qualche altro episodio ("torso of the week", "radiant" su tutte) sono di grande spessore. insomma: è sì un lavoro potenzialmente più accomodante (via calibratura dell'estetica - seppur la complessità della scrittura si mantenga ovviamente alta), ma che lascia una traccia decisamente meno intensa (e macchiando non poco, nel momento in cui va alla ricerca del pathos pop totale: "duet", chiaro).

breve considerazione su "_arc_": possedeva tutte le credenziali per essere elaborata a dovere - già così è un piccolo capolavoro: peccato (come la vedi Los?)

bruttina la rece...

(ovviamente: eccelso Matteo!!! )

loson, autore, alle 17:47 del 22 gennaio 2013 ha scritto:

Eheh, addirittura "eccelso"... Tu e Sal siete sempre troppo gentili, ragassuoli. Di _Arc_ hai detto bene: "possedeva tutte le credenziali per essere elaborata a dovere". Così com'è, però, mi pare sprecata. Poteva evolvere in uno strumentale coi fiocchi, atmosferico, o in una canzone più tradizionale... Insomma qualsiasi cosa piuttosto che quel minutino e mezzo che non è nè carne nè pesce. Non che la breve durata sia un problema in senso assoluto: adoro la poetica de frammento, e certi brani musicali brevissimi mi comunicano una beata sensazione di compiutezza. Purtroppo _Arc_ non è fra questi. P.S. Ma "Undrowned" non è piaciuta a nessuno? Per me è clamorosa...

sfos (ha votato 8 questo disco) alle 18:36 del 22 gennaio 2013 ha scritto:

Eccomi! Io adoro Undrowned, miglior lento del disco insieme a The House is dust, due canzoni che evitano l'impatto emozionale immediato e ben presto stucchevole, rivelandosi invece solo dopo ascolti attenti. Sono brani che dimostrano la serietà alla base dell'approccio musicale della band, capace di alternare mood differenti, veicolando una sensibilità di fondo che è una delle loro maggiori cifre stilistiche. Riascoltato oggi in cuffia, un disco davvero prezioso.

loson, autore, alle 21:33 del 22 gennaio 2013 ha scritto:

Oh, bravo sfos. Che poi definirlo "lento" viene quasi automatico ma se ci pensi è paradossale, percorso com'è da una tensione crescente, con l'intarsio degli strumenti che s'infittisce sempre più e le percussioni che impazzano fino al climax finale...

hiperwlt (ha votato 6,5 questo disco) alle 23:43 del 22 gennaio 2013 ha scritto:

che dire, io l'ho trovato il passaggio emotivamente più sincero dell'album. nebbia eterea: con quegli archi trattenuti ma a scavare, lo stridio e gli effetti sullo sfondo, la tensione dei rintocchi sui piatti, la linea vocale... poteva evolvere in maniera più intelligente, anche in forma strumentale, questo sì

Los, dovremmo stilare una mista dei brani brevi più compiuti: ogni tanto ci penso ehehe

loson, autore, alle 1:12 del 23 gennaio 2013 ha scritto:

Brani brevi più compiuti? "#1432" degli Strangelove è quasi imbattibile, per me. Qualcosa come la canzone (mini-canzone) più triste del mondo. Ancora non sono riuscito a capire se ci suonano due chitarre o una sola, e come siano accordate. Peccato che Youtube la ignori...

Phoberomys (ha votato 9 questo disco) alle 20:13 del 19 febbraio 2013 ha scritto:

Bella recensione, un po' troppo severa. Per me l'album è eccezionale, come il suo predecessore. Anche se ci ha messo un po' di più ad acchiapparmi.

Vengono in concerto a Milano il 6 marzo, io non me li perdo.

PS: ma a nessuno ricordano (nessuno si ricorda de-) gli Shudder to Think?

PPS: "wonky"?

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 12:14 del 10 dicembre 2013 ha scritto:

E' vero, dopo un esordio entusiasmante arriva la conferma, un secondo album "più vellutato e malleabile, con una maggiore enfasi sul ritornello, sulla cantabilita" Matteo docet). A me pare un'opera più matura (sia per quanto riguarda il songwriting, che per la crescita vocale e strumentale), più unitaria (non più semplificata) nella sua struttura, pur nella variabilità e nel rispetto delle peculiari caratteristiche messe in mostra nel primo disco, più immediata (ma non banale) ed emozionale eheh. Ricordo (non ho cambiato idea, anzi) che Man alive mi piace molto, è solo che, al momento almeno, questo mi piace anche di più (parlo di ascolto filato, perché sui singoli pezzi il match si fa più arduo e difficile). Il fatto che nel loro background siano presenti Radiohead e Coldplay (non quelli dell'ultimo) per me non è un difetto, al contrario! Sul fatto che si potrebbe fare una piccola scremata mi trova d'accordo, ma questo vale per quasi tutte le uscite nell'era del cd (troppo capiente!). Non sento però ciofeche clamorose, nemmeno Duet (magari fosse stata al posto della title-track in Viva la vida! Vediamo quanto dura, (qualche mese è già passato), ma di certo Everything Everything giovane band da seguire e da amare eheh.