Beach House
Depression Cherry
Questa è stata la mia impressione: che per la prima volta, davvero, i Beach House abbiano fatto un disco privo di qualsiasi novità rispetto ai precedenti, nonostante lo iato di tre anni da In Bloom, per loro inedito, e nonostante il titolo e le anticipazioni facessero pensare a un ritorno alle introversioni autunnali della doppietta Beach House/Devotion. In realtà Depression Cherry fa una sola cosa: aggiunge nove pezzi pienamente Beach House al loro repertorio. E lo fa bene.
Poi, a riascoltare, qualcosa di diverso inevitabilmente si nota. Il tratto distintivo di questo disco mi sembra che stia in una maggiore tendenza allabbandono, una propensione a lasciarsi scivolare via le vesti pop per farsi trasportare dallinerzia degli organi e della piena sonora, come in trance, come se Scally e Legrand fossero una band da jam psichedelica, cosa che continuano a non essere, malgrado laltissimo tasso, sempre costante fin dai primi dischi, di suggestione visionaria e tasso evocativo (ma non cè, in effetti, allucinazione: cè trasporto, piuttosto).
I pezzi, allora, sono più lunghi rispetto al solito, con code che alzano i volumi degli organi, fino a quasi a sommergere la batteria, con effetti ereditati da certo shoegaze (Levitation), o che replicano lo stesso giro e arpeggio di chitarra in loop infiniti e maestosi (PPP, dove spicca anche il sensuale spoken-word di Legrand). Dico shoegaze non a caso, vista limpressione quella, sì, davvero nuova, per il duo di Baltimora che aveva fatto Sparks, il primo singolo, con il primo piano di una chitarra distorta molto 90s cullata da un effetto vocale ondivago tipico di certo torbido indie pop post-The Jesus & Mary Chain. E poi cè il solito pezzo finale più aereo, qua sorretto da un coro che va a sostituire, a inizio brano, lorgano di Legrand (Days of Candy).
Insomma, non è il loro disco più aperto, ma di certo il più spazioso, e in quanto tale potrebbe stare al centro del quadrato che formavano i suoi quattro predecessori. Space Song conferma, elevando larte dei Beach House ai suoi livelli massimi, perché a quelleffetto di vagabondaggio per eccesso di godimento abbina una melodia cristallina, esaltata dal languido fraseggio di chitarra e dalle bolle di synth dalleffetto dreamy assicurato: da top 3 della loro carriera. Più standard gli altri pezzi, nei quali a fare da perno tornano a essere le melodie vocali e la voce di Legrand, con minutaggi contenuti ma non diversa bellezza (spiccano Beyond Love e Wildflower).
Ne esce un disco a cui niente impedisce di diventare il Beach House preferito di molti e che continuerà a tenere a distanza gli scettici. Di certo nel loro ambito cinque dischi di questa qualità pochi o nessuno, prima, era riuscito a piazzarli.
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