V Video

R Recensione

8/10

Lower Dens

Escape From Evil

Escape From Evil”. Tentativi di fuga da un inferno privato (“ci sono cose dentro di me su cui sto ancora lavorando, che mi hanno afflitto per molto tempo” da Pitchfork) e, musicalmente, da un trascorso estetico (dream pop/kraut sci-fi) in perenne ricerca di un baricentro, mai davvero aderente alle profondità intellettuali e alle ambizioni della texana Jana Hunter – leader e voce; a tre anni da “Nootropics” tornano così i Lower Dens, da Baltimora, riaffacciandosi sulla scena con un disco che è, finalmente, osmosi perfetta di derivatismo pop portato agli estremi e rinnovamento (dal flavour, perché no, Art Pop) del loro sound.

Il gruppo, che dei Beach House condivide la spinta a far ruotare i pezzi entro poche ma solide idee melodiche e ritmiche, pone qui più attenzione tanto alla scrittura di un pop (Madonna anni ottanta una delle influenze citate) compatto, che sa di cromatico (gli ‘80s da evocazione lynchiana nell'apice “To Die in L.A.”; il disperato indie pop allo zucchero filato, nei moti beachhousiani di “Quo Vadis?”), quanto allo svolgersi delle dinamiche, nei vapori wave, in soluzioni ossessive.

Sottratte le insistite anedonie strutturali (nonché vocali), così come una quantità significativa di riverberi e di saturazioni, ne esce oggi un lavoro di fascinosa decadenza pop anni '10 (Still Corners, Chairlift), in cui gli elementi in gioco (il dream pop più cristallino, il krautrock, gli scenari “Drive” arredati wave, il synth pop, gli sbuffi jazzistici della ritmica e la teatralità di certe pose) comunicano alla perfezione nella cinematica dei brani, esaltati al contempo da una produzione in alta risoluzione.

Idealmente, il disco si anima lungo gli estremi di sincretismo pop (da capogiro” To Die in L.A.”, “Quo Vadis?”,  “Ondine”) e, aumentato il minutaggio, sui binari motorik di un dream pop scuro, in cui i residui revival post punk donano alle composizioni vigore (si prenda “Electric Current”, con quelle progressioni à la Warpaint; oppure “You’re Heart Still Beating”, con quel suo acido di lame chitarristiche, su di ottave, e le accelerazioni cardiache della batteria), così come le vampate new wave stati ultra narcolettici (Slowdive e The Cure altezza "Disintegration", in “I Am the Earth”).

A metà strada “Sucker’s Sangri-La” (i soliti Cocteau Twins), chitarre distorte e ombre wave sparse ovunque e “Company” (tra strofe in odore Toy e ritornello di pop teatrale, scenicissimo); si stagliano dalla gestalt, invece, due pezzi in particolare: il synth pop svuotato nel bianco di “Non Grata" e la circolarità (tra Violens e stagione jangle folk, The Smiths, e armonizzazioni psych) di una “Société Anonyme” che chiude col botto il lavoro.

Sulla voce di Hunter: di Victoria Legrand ricalca, da plagio, le frequenze di un timbro fondo e certe pose espressive; incredibile come la portata scenica e androgina risulti, al contempo, estremamente personale e riconoscibile. 

Disco, “Escape From Evil”, come salto di qualità di una band fino ad oggi media; e di un dream pop che si sta scoprendo, giorno dopo giorno, sempre più decadente.

V Voti

Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 7 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
target 8/10
lorisp 6/10
antobomba 7,5/10
motek 5,5/10

C Commenti

Ci sono 8 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Jacopo Santoro (ha votato 7,5 questo disco) alle 19:24 del 26 marzo 2015 ha scritto:

Disco davvero sorprendente. Ogni considerazione dal punto di vista prettamente musicale è superflua dopo la diagnosi meticolosa ed esauriente di Mauro. La voce di Jana è stupenda, così derivativa eppure così sua, come si dice nello scritto: accompagna dieci pezzi compattamente belli, filmici, con ghirlande anni Ottanta, strutture tendenti alla perfezione e chitarre portentose.

I miei pezzi preferiti sono Sucker's Shangri-La (nel ritornello siamo in un altro mondo), il singolo(ne) To Die in L.A. (primo amore al primo ascolto: come potrebbe essere diversamente?), I am the Earth (nel crescendo finale mi vien da piangere), Société Anonyme (giro da capogiro), Your Heart Still Beating (pazzesca la parte di "what about time?", e simili domande di Lana).

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 21:25 del 26 marzo 2015 ha scritto:

Nulla da aggiungere all'analisi di Mauro. O forse qualcosa sì: io non sempre entro in sintonia con questo tipo di sonorità e di estetica, ma i Lower Dens mi hanno miracolosamente rapito al primo ascolto. Brani che sono dei capolavori di vibrazioni in multicolor, quasi quanto quelli degli Associates. Teatralità esibita e dilaniata, valorizzata da una sintesi melodica eccellente, e da una voce che è una dolce pugnalata. Ripasso per il voto, ma prevedo cose importanti.

target (ha votato 8 questo disco) alle 17:13 del 7 aprile 2015 ha scritto:

Mi piace, di questo disco, la presenza di melodie liberatorie, su testi spesso altrettanto vitalistici (scappare dal male, appunto), con i secondi Beach House che aleggiano in fiore, però sopra sfondi sonori che tengono sempre almeno un elemento di ossessività, che sia il motorik krauto che segnava i loro lavori precedenti o qualche altro espediente (le rifiniture di chitarra di "Your heart still beating", il puntello tastieristico persino un po' fatuo di "To die in L.A.", l'unione dei due effetti nella bellissima "Electric current" - dove l'"I only want to dance with you, all night on the street", molto anni '80 edonistico, in stile volere è potere, si infrangono però su quegli squarci temporaleschi inquietanti). Ecco, mi piace davvero molto, questa cosa. Come da (brutta) copertina: colorata, carnevalesca, gommosa, persino scema, ma comunque segnata da una specie di algido autismo. E' come se Jana Hunter si fosse messa a cantare la liberazione a cui aspira ma che intimamente sa di non poter raggiungere mai, disperatamente mai (da cui quella "teatralità esibita e dilaniata" di cui scrive Francesco). Escape from evil a me suona come una specie di imperativo interiore - destinato a essere disatteso, perché si tratterebbe di scappare da se stessi (I Can't escape myself, cantavano i Sound). E il finale di "Société Anonyme", con quella batteria fasciata da austere tastiere eighties e poi lasciata picchiare da sola, dice tutto. Ecco, questa cosa, che anche Mauro spiega nella sua eccellente recensione, a me piace davvero davvero molto.

target (ha votato 8 questo disco) alle 18:07 del 14 maggio 2015 ha scritto:

Ah, postilla: la "Non Grata" che circola in mp3 ovunque in rete non c'entra niente con quella che c'è nel disco. O meglio, la canzone è la stessa, ma con un arrangiamento del tutto diverso. La versione presente nell'album non è synth-pop, ma è in piena linea col resto del disco. (Resta, a mio avviso, uno dei momenti più deboli del disco: ma la versione su disco è un po' più mossa e meno glaciale).

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 15:15 del 19 agosto 2015 ha scritto:

Riporto in auge solo per confermare che questo disco - oltre a essere di impatto - cresce con gli ascolti. E in modo prodigioso: una sequenza impeccabile di ballate ferite e travolgenti, che colloco fra le realtà più interessanti dell'anno.

REBBY alle 10:03 del 27 gennaio 2016 ha scritto:

Quindi sono di Baltimora, come i Beach house ed i Celebration (ecco la voce di Jana Hunter mi pare un incrocio tra quella di Victoria Legrand e quella di Katrina Ford). Gli anni 80 si sentono, ma Madonna (nonostante la citino) faccio davvero fatica a riconoscerla come fonte di ispirazione. Per il resto convengo con recensore e precedenti, a me, intervenuti.

Jacopo Santoro (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:28 del 12 settembre 2016 ha scritto:

Nuovo, freschissimo singolo. Adoro il loro sound.

target (ha votato 8 questo disco) alle 22:47 del 12 settembre 2016 ha scritto:

Bella, bravi. Gli si vuole sempre più bene.