V Video

R Recensione

7,5/10

Chromatics

Kill For Love

Cinque anni per scriverlo e sette città diverse per registrarlo, ma il nuovo disco dei Chromatics non poteva che uscire ora. Perché è solo da pochi mesi, da quando alcuni suoi pezzi finirono nella colonna sonora di “Drive”, che a Johnny Jewel – anima della band di Portland – è cambiata la vita. E di questo risorgimento “Kill for Love” è il trionfante specchio, nella sua esaltata ridondanza (17 pezzi per 90 minuti!) e nella sua stessa tensione cinematografica. Epica buia e sentimentale in salsa electro. L’epica di “Drive”. E quella con cui ognuno si fa, immaginandoli, i propri film.

È un disco visivo, il nuovo Chromatics, fatto dichiaratamente per essere lasciato sullo sfondo (magari, sì, guidando), mentre infetta sottopelle. Per capirne la genesi, bisognerà ricordare che Jewel, assieme a Nat Walker e a nome Simmetry, ha pubblicato a gennaio un album strumentale ("Themes for an Imaginary Film") che raccoglieva 37 brani originariamente composti per “Drive” ma poi scartati in favore della soundtrack di Cliff Martinez. Simili panorami desolati di synth stesi su silenzi scuri intervallano, qui, come pause durante un viaggio, gli sfoghi electro-pop più radio-friendly, per un effetto di alternanza corpo/mente, azione/riflessione, vita/arte, che, a costo di creare un po’ di noia, dà spessore al disco e ne lascia decantare i temi durante l’ascolto. Non è un caso che “Kill for Love” dovesse uscire a ottobre, ma sia stato rimandato proprio per un’incertezza poi risolta con la mossa all-inclusive: Jewel ha deciso di non farne un album pop, ma di metterci dentro tutto e montarlo con grande libertà, sfruttando la spinta di “Drive”.

90 minuti, pensateci, è la durata media di un film, non di un disco. Al di là del lunghissimo finale di droni e autentici vuoti sonori (“No Escape”), l’intera parte centrale si costruisce su dilatazioni strumentali, stasi ipnotiche, lungaggini a scopo evocativo, notturni commenti synth-pop, con interventi di viola e violoncello (“The Eleventh Hour”) o più spesso sotto il dominio di gelide macchine accompagnate dal piano (“Broken Mirrors”, il finale di “Running from the Sun”) o chitarre che riportano Twin Peaks su autostrade notturne e sfondi urbani attoniti (“Dust to Dust”), mentre gracchia la registrazione, a mo’ di vecchio vinile.

Si tratta di un’espansa voragine centrale di sei brani in cui solo una volta compare la voce di Ruth Radelet, nell’elegia dark di “Candy”. E anche quando si riprende ad accelerare, lo si fa con il diesel di “Birds of Paradise”, splendido inno di abbandono significativamente senza beat, tutto appeso al registro perduto della vocalist dei Chromatics e al riff di piano e chitarra. Attorno, a cornice, si dispongono le hit dell’album, e sono tante. L’impasto non è più italo-disco: siamo alla Italians Do It Better, sì, ma si sentono più i Goblin, qua, che l’italo ‘80. Il beat è più sobrio, le chitarre prendono spazio, il sentimentalismo è meno teatrale, tanto che la title-track, splendida, fa molto New Order, ossia electro-pop glorioso ma radicato, senza scampo, in infinite malinconie. E così il ritmo sciancato di “Lady”, le melodie killer di “The Page” e “Back From the Grave”, i derelitti eighties di “A Matter of Time” e i minimalismi di “At Your Door” (con basi che potrebbero essere quelle dei The xx) costruiscono un mondo di piccole decadenze romantiche persino ballabili. Meno convincenti i pezzi a voce maschile (“These Streets Will Never Look the Same”, “Running from the Sun”), con l’autotune che infastidisce, mentre è splendida “The River”, in chiusura.

Volendo strafare, i Chromatics potevano dare vita a un disco definitivo. Così non è stato. Ogni tanto il disco si inceppa, il motore grippa, l’ascoltatore skippa. E ci si trova a fare noi quel montaggio che spettava a loro. E però di dischi con così tanta roba ne escono pochi. Roba da ascoltare, sì. Ma buona visione è l’augurio migliore per chi ci si avvicina.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 15 voti.
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igizu 9/10
motek 7/10
kida 6,5/10
REBBY 6/10
mavri 8,5/10
Lepo 8/10
antobomba 7,5/10

C Commenti

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hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 10:47 del 10 aprile 2012 ha scritto:

cosa aggiungere ad una recensione così centrata? soltanto che sul loro soundcloud hanno reso disponibile lo streaming integrale! per me: certe lungaggini non annoiano eccessivamente (anche "these streets..."), proprio perché altamente funzionali all'estetica (così simile della soundtrack gemella di "drive") e alle dinamiche del disco - sì molto visivo, come dice Francesco. un album compiuto tanto nella sua interezza, quanto nell'efficacia individuale di molti singoli episodi - per "lady", già ora, sto uscendo matto (lo stacco finale , su beat e chitarra minimal, per essere precisi). ripasso a commentare/votare, ché sono solo ai primi ascolti, ma il disco ha già fatto breccia.

target, autore, alle 15:03 del 10 aprile 2012 ha scritto:

E' vero, Mauro, che le lungaggini sono funzionali all'estetica del disco, e perciò ci stanno, tanto più che alcune sono molto affascinanti. A suonarmi proprio infelici sono i due pezzi con voce maschile e autotune, e la "No escape" alla fine, 'filosofica' ma fondamentalmente gratuita. Ma, insomma, il disco è una bella bellissima cosa, e il voto sarebbe 7,5.

hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 17:17 del 29 maggio 2012 ha scritto:

ripasso per il voto, e per segnalare il nuovo video, "these streets will never look the same" trovate altri dettagli nella sezione news - anche sull'imminente tour europeo.

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 10:50 del 31 ottobre 2012 ha scritto:

"Ogni tanto il disco si inceppa, il motore grippa, l'ascoltatore skippa", la mirabile sintesi di Francesco. Ma che bella quella sciancata "Lady"!

Lepo (ha votato 8 questo disco) alle 19:20 del 11 settembre 2013 ha scritto:

Per quanto mi riguarda, uno degli album migliori del 2012. Struggente, malinconico, culla dolcemente l'ascolltatore, libero di farsi trasportare sia dai turbinii scintillanti dei sequencer nei brani più pop, sia dalle sognanti atmosfere ambient dei brani più dilatati. Un incrocio tra New Order e Jesus & Mary Chain che dimostra grande consapevolezza e conoscenza della materia synth e indie pop, a differenza di altri acts dello stesso anno, quali i canadesi Grimes e Trust. Le migliori, per me: Into the black, Lady, Kill For Love e These Streets Will Never Look The Same, in cui l'autotune non mi disturba affatto, anzi, trovo calzi a pennello.