Handsome Furs
Face Control
Un po’ di rumore l’avevano fatto un paio di anni orsono gli Hansome Furs quando uscirono con Plague park. L’ennesimo disco-gioiellino del fortunato movimento indie canadese verso cui praticamente tutti si sono prostrati con salmi e ringraziamenti che sfiorano l’idolatria. Se aveva un difetto Plague park era quello di tenere un po’ troppo a distanza l’ascoltatore, con i suoi battiti freddi e distaccati che mantenevano una certa aria intellettuale e snob. Ciònonostante manteneva un certo fascino tanto che certa critica si è spinta nell’elogiare l’ottimo ritratto alienato della “condizione dell’essere umano all’alba del ventunesimo secolo”.
Face control non rivoluziona lo stile del gruppo, sempre in bilico tra indie-pop, revival wave e elettro-rock, ma apporta alcune variazioni di non poco rilievo, aumentando la velocità di esecusione dei brani e alzando il volume della chitarra, alla ricerca di una struttura pop più lineare e meno astratta. Meno Byrne/Eno e più indie-rock verrebbe da dire. E in fondo I'm confused e Thy will be done altro non sono se non splendide dimostrazioni di come sarebbero potuti suonare gli Interpol se si fossero buttati sull’elettro-wave invece che sul pop barocco. Altro esempio è il piglio punk con cui Talking hotel arbat blues sprizza energia tra assoli heavy roboanti, ricordi psichedelici di Galaxie 500 e robusti saliscendi elettrici. Il tutto mentre una batteria digitale tiene un ritmo industriale computerizzato. Sintetizzatori e drum machine orchestrati da Alexei Perry sono all’ordine anche in Nyet spasiba con il suo notevole ritmo tirato.
Il gusto gli ‘80s però rimane immutato rispetto all’esordio, tanto che molti brani pescano a piene mani da quel periodo d’oro: la trascinante All we want, baby, is everything ad esempio pare una versione riveduta degli U2 wavers (specie per cantato e riff) che incrociano i New Order più raffinati (per produzione e ritmo). Legal tender invece tra batteria digitale, chitarre taglienti, cantato semi-tragico e aria da revival wave resta in bilico tra Joy Division e Psychedelic Furs da una parte, Wolf Parade e Arcade Fire dall’altra. Un Inghilterra ‘80s meets Canada ‘00s che porta ad un elettro-pop sferzante ed energico. Evangeline poi pare quasi giocare con le ritmiche di Sweet Dreams (Eurythmics) su cui si impianta un ventaglio di chitarre e suoni che va a saturare con garbo un’aria resa quasi tragica dal cantato di Dan Boeckner.
Face control però non è così facilmente classificabile e si muove tra le citazioni e i ritmi con astuzia. Così si trovano brani acuti e pungenti come Officer of hearts, in cui gli una versione sfuggente degli Arcade Fire va a incrociare un maledettismo decadente che puzza molto di glam-dark in stile Cure. C’è poi il pastiche di (It’s Not Me, It’s You), non così distante dalla dimensione “space” degli Animal Collective mentre i soliti squisiti sapori canadesi (l’ho già detto che Boeckner è un membro dei Wolf Parade?) emergono qua e là più (Radio kaliningrad) o meno nettamente. E allora? Allora niente. Ancora una volta ci tocca prostrarci e baciare le chiappe a questi diavoli di canadesi!
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