The Killers
Day & Age
Ehi, ma siamo ballerini o umani? Siamo musicisti o buffoni?
Quesito esistenziale di importanza unica per i The Killers. Gira una definizione per la rete; gli U2 che fanno cover dei Duran Duran.
È il risultato di chi viene pompato dall’infinita ricerca mediatica del gruppo rivelazione, del capolavoro assoluto. Li gonfi, li illudi, li elogi e ti ritrovi degli esseri insopportabili. Sarà che il suono anni ’80 è ripreso esasperando l’aspetto più ruffiano, sarà che di innovativo e particolare non ci si trova neanche un arpeggio, ma c’è da rimanere imbarazzati a vedere schiere di esseri umani che ballano Human, o commentano sul tuo posto di lavoro che la suddetta canzone è un capolavoro. Arriverà un giorno in cui saranno i responsabili di qualche omicidio.
Secondo qualcuno il disprezzo non esattamente raro che circola attorno alla compagnia di Flowers è legato all’indiscutibile successo commerciale. Dunque proviamo a dimenticare questo aspetto (francamente chi se ne frega se uno è milionario o meno, purché non faccia il paladino dei poveri come Bono). Se si dovesse pensare al mercato, non solo musicale, si finirebbe a parlare di sistema, anziché di musica. E con i The Killers non c’è modo di fare discorsi troppo seri. Non hanno mai nascosto il loro atteggiamento “tamarro” ed infatti è necessario precisarlo; questo disco è negativo dal punto di vista musicale preso di per sé. Chi difende il gruppo si innalza dalle barricate da cui si accusa di essere snob, invidiosi (de che?) o qualche assurdità del genere. Quindi bisognerà cercare di non uscire fuori dal disco in sé.
I coretti e il ritmo di Joy Ride sono qualcosa di incredibile. Come quando fissi un camion che ti viene addosso e non puoi fare a meno di rimanere lì piantato mentre ti investe. Una sensazione mista tra il terrore e la rabbia; “non è possibile, non può esistere qualcosa di questo genere”. È irritante perché privo di ogni pudore. Oddio, in un certo senso può essere anche positivo lo sforzo, ma il risultato non è apprezzabile.
Sfogato la profonda irritazione che Day & Age suscita ripetutamente c’è da recuperare un minimo di obbiettività. Intanto spostarlo (per salvare il salvabile) in campo pop-commerciale e toglierlo da qualsiasi spiaggia bagnata dal rock (al massimo escludendo Spaceman). Poi capire che lo stile e l’atteggiamento (musicale) supponente e da gruppo privo di buon gusto sono elementi direttamente ripresi dagli anni ’80.
Il produttore Price ha un passato di collaborazioni che vanta tra i vari nomi anche Madonna, e diventano prepotenti le presenze di sassofono (Losing Touch), sintetizzatori (The World We Live In) e note autobiografiche - leggasi l’incontro dei genitori di Brandon al parcheggio di roulotte di cui tutti sentivamo la necessità di avere conoscenza (A Dustland Fairytale).
Oddio forse meglio la storia di babbo e mamma, rispetto a chi viene a narrare della grande difficoltà di partire per concerti (I Can’t Stay, ammiccante anche verso suoni jazz). Un po’ come le peggiori storie di esilio ed emigrazione.
Polemica che esula dal pezzo di conclusione (Goodnight, Travell Well) che fa doppio riferimento alla morte della madre di Dave, e alla lotta contro il cancro della madre di Brandon.
Forse le sonorità caraibiche e l’insistenza sui cori non sono così falsi come si tenta di affermare. Forse c’è veramente la voglia di esagerare. Insomma parlare male di un disco, consigliando di non ascoltarlo è quanto di peggiore ci può essere. Ma i The Killers fanno di tutto per non evitarlo. Causano profondi sensi di colpa. Resta il peggiore dei primi tre lavori del gruppo (esclusi i b-sides di Sawdust del 2007), eccessivo nella sua presunzione e che poco sa dire.
Forse le critiche più aspre sono la miglior pubblicità, che esalta i fan e aumenta le vendite. Cercando la formula più neutra ecco come riassumere il giudizio (per quanto valga); buono per le radio e per fare qualche giro di ballo, ma si dimentica senza rammarico e con un po’ di fastidio. Vederli come paladini e innovatori del synth e dell’indie (mescolato all’elettronica) lascia dei dubbi. Qui qualcosa di sbagliato c’è.
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