Bat For Lashes
The Haunted Man
Nuda.
Concettualmente, con l’abbandono dell’alter ego Pearl.
Nell’immagine di copertina (Ryan McGinley dietro l’obiettivo, citando il suo India), in cui è predatrice granitica, comunque sexy - e a certificare, idealmente, un post moderno ribaltamento nei domini di genere.
Completamente, nello scarno cullare (il nulla) di un commovente drama per piano: “Laura”.
Alterate, nei tre anni intercorsi da “Two Suns”, le misticità dark, trip hop ed electro wave del passato, con “The Haunted Man” Natasha Khan approda ad una forma pop finemente matura e complessa (in cui dominano, per evocazioni e strutture in sé, gli 80’s elettronici), al contempo viscerale e intima (“there was this desire to be much more intimate and much more upfront emotionally”), ricercata in ogni sua linea. Dai risultati, a conti fatti, mediamente convincenti.
Momento topico, in “The Haunted Man”, è “All Your Gold”: basso esposto, punteggiato, e una struttura pop arty (Lykke Li) su ritmica tribale, ipnotica, per un lamento poetico e catchy dal forte impatto estetico. Di suggestione melodica vive “Oh Yeah”, electro psych (Yeasayer) a presa rapida, nel suo scagliarsi su d’una interpretazione vocale a contrasto. Ottima, in questo senso, la resa in “Lillies”, preghiera gotica, dreamy nelle rifiniture.
Manca una “Daniel” (o una “What’s a Girl To Do?”, da “Fur and Gold”), sì, benché vi sia altro di cui godere: in “Winter Fields” Kate Bush ispira, in una cornice di epicità, per archi e synth, glaciale. Bene quando, in “Marilyn” (c'è lo zampino di Beck), la Khan avanza in territori techno-pop (dalle parti di Zola Jesus); oltremodo spettacolari le tastiere conclusive di “Rest Your Head” (brano, ad ogni modo, dagli stacchi pop fin troppo accentuati). Meno l'ambient concettuale della title track, marcia astratta e goth, o le desolazioni spettrali, artiche, della conclusiva “Deep Sea Diver”. In evidenza le ritmiche trip hop (Portishead; non a caso, Utley a supporto) e i ricami acustici di "Horses of the Sun", tra gli strati, nei vapori, di tastiere.
Il lavoro si presta, in certe rese, ad un taglio minimalista ("Laura", una buona metà di "The Haunted Man", "Deep Sea Diver"), benché nella gestalt “The Haunted Man” esponga un synth/dream pop dalla produzione lussureggiante (a volte, va detto, troppo atificiosa): con potenziale da club (“The Wall”, “Rest Your Head”, "Oh Yeah"), capace di inserimenti orchestrali apprezzabili ("Lillies", la stessa "All Your Gold"), nonché di dar sfoggio, sempre, a ritmiche declinate in strutture 80s, electro tribali (Peter Gabriel). Gli istanti di raccoglimento (il più palese, “Laura”, scritta assieme a Justin Parker, già con Lana del Rey nella hit "Videgames"; "Deep Sea Diver"), non sopperiscono in modo completo, convivendo nelle architetture dei brani (enormi e complesse, avant per certi aspetti; in un album pop, e nell'economia della sua longevità, non sempre un bene) più nel lirismo e nel cantato, che negli arrangiamenti in sé.
All’inseguimento di un posto di primo piano nell’immaginario mainstream pop al femminile (ma di classe: Kate Bush, Bjork), ad oggi il nostro augurio è che la continuità (confermata in "The Haunted Man") di Bat For Lashes sia da esempio ad altre, nuove e promettenti, leve del pop britannico - Jessie Ware, Marina and the Diamonds, Ruby Goe. Per la gloria, quella assoluta, c'è ancora tempo - e margine di crescita.
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