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R Recensione

7/10

Green Like July

Build A Fire

Cordialità. Ringraziando Afrodite, tutti mi chiamano Aprile – o April, Avril, Abril, Aprel', Àprilis, Aprilios, chi più chi meno, assimilazioni e adattamenti a parte, ma questo è affare per glottologi e non per un povero contenitore di giorni, si capisce. Mi chiamano Aprile, il dolce dormire, il mese dei fiori, la meraviglia della serendipità. Lo ero veramente. Forse lo sono ancora. In realtà, rimanga tra noi, la sola bellezza non paga. Perché il global warming è la propaggine batteriologica e radicalmente sovversiva della globalizzazione ad ogni costo: un po' di tutto dappertutto, in modo che nulla sia da nessuna parte. Immagino che della cassœla non freghi nulla ad un cambogiano, e una foca monaca non aneli disperatamente a passare le vacanze estive in Repubblica Centrafricana. Sono cose brutte, alle quali ci si deve ribellare. Quo fato, un frammento di me è planato laddove non sarebbe dovuto finire. Che ci fa del green in Luglio? Voglio dire, quello lì non sta molto simpatico a nessuno, esuberante solo quando pare a lui, una palla mortale se non è in giornata – io e i miei cugini, Marzo e Maggio, lo prendiamo sempre in giro, Hot Like July, Still Like JulyBoring Like July, Excruciating Like July, un crescendo di calembour. Green Like July non ci è mai venuto in mente, perché non fa ridere: anzi, è un complimento. Un bel complimento. Conor Oberst lo aveva visto negli occhi della sua amante, rossi talvolta di pianto, più spesso smarriti in un turbinio cromatico che annacquava la stessa consistenza delle figure. “A Scale, A Mirror, And Those Indifferent Clocks”. Non si dice così ad Alessandria, ma l'hanno capito lo stesso, pare.

La metafora ha preso piede. Chi più da vicino ha deciso di seguirla, innamorato dell'istantanea al punto tale da trasformarla in monicker, ha avuto la fortuna di esplodere artisticamente negli stessi studi, gli ARC di Omaha, Nebraska, dove vide a suo tempo la luce “Fevers And Mirrors”. Nebraska significa, in lingua chiwere, “acqua calma”, e sapeste come mi venera il corso del Platte, quando convinco zefiri e refoli a spirare sulle sue acque. Ho l'impressione di aver infuso la stessa tranquillità, la stessa convinzione in questi quattro ragazzotti pedemontani, col tricolore nel passaporto e le stars&stripes nel cuore – la loro nuova etichetta italiana si chiama La Tempesta, nel loro paese è famosa: gli americani, invece, non saprebbero nemmeno da dove partire per tradurne il significato. Questione di pura forma. Non importa. Dopo il dolce dormire arriva la svolta, il cambiamento: inevitabile mi piacesse, partigianeria a parte, un intero disco focalizzato sulla transizione, umana e personale. Costruire un fuoco è come fare tabula rasa di Città del Messico: impresa al limite del puro titanismo. Bisogna mettersi in movimento, per mettere in movimento. I Green Like July seguono le orme della frontiera, assorbono la cinetica americana, la tensione al movimento, all'infinito viaggiare di Thoreau, e si trasferiscono in città: “Moving To The City” è il folk rock che si traveste da banda, vestito a festa da un sontuoso arrangiamento di fiati di un altro talentuoso italiano in trasferta. A me chiamano Aprile. Lui si chiama Enrico Gabrielli.

You promised fifteen years ago / You'll never make a mess / Now the road is getting narrow / You've become another man”. Basta un grappolo di accordi per piano, la voce strascicata di Andrea Poggio a scivolare su una melodia indolente come nemmeno una slide guitar sarebbe in grado di fare, uno stormo di archi Nouvelle Vague: il magico, pigro slow motion di “Good Luck Bridge”, da Parigi a San Francisco, giù per le strade di New York, suona sempre, ugualmente grandioso, nella sua efficacissima semplicità. E per quanto i Green Like July abbiano voluto far trasudare il disco di America, ne esce soprattutto un’elevazione all’ennesima potenza di quel folk macchiato indie pop che negli anni zero è piaciuto più a certi europei ‘americanizzati’, dai Fanfarlo ai Lightships, con il santino degli Okkervil River era-“The Stage Names” appoggiato sul cruscotto mentre si attraversano distese di verde che ricordano quelle scozzesi dei Belle And Sebastian (“Borrowed Time”).

D’altronde, lo so bene, dopo di me e dopo l’estate arrivano i mantelli marroni dell’autunno, e nonostante l’apparenza festosa e i trionfi di clarinetti, archi e glockenspiel (“An Ordinary Friend”, “Agatha Of Sicily”), qua si respira anche una malinconia velata, in pezzi che abbassano i ritmi e si decorano di rifiniture classicheggianti in odore di barocco (“Tonight’s The Night”), senza scadere mai nella stucchevolezza, anzi, ingioiellando alla perfezione certi spunti in stile The Decemberists (“A Well Welcomed Change”), tra organo, fisarmoniche e una maggiore coralità rispetto ai primi lavori. E le primavere tornano timide (“Johnny Thunders”, in duetto con Jake Bellows, già autore di collaborazioni con Conor Oberst): il ciclo ricomincia.

E mi piace, come essere Aprile a Novembre, questo disco di italiani che di italiano non ha nulla, questo disco che, più che prendere dalla tradizione 60-70, si immerge nelle rivisitazioni anni zero riuscendo però a non suonare con il delay fastidioso di ciò che è fuori tempo soltanto per poco: come il verde a luglio, ecco. Green Like July nel pieno di una maturità da festeggiare.  

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 2 voti.
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hiperwlt 6,5/10

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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bargeld alle 17:21 del 18 novembre 2013 ha scritto:

Recensione splendida, davvero. Il disco lo ascolterò.

p.s. quando mi racconterai Fevers and Mirrors da par tuo? Ti aspetto lì!

Giuseppe Ienopoli (ha votato 8 questo disco) alle 19:54 del 18 novembre 2013 ha scritto:

... il disco giusto al momento giusto! ... bello veramente ... suoni e armonie dal tocco di velluto, echi che ti portano a spasso nel tempo, ma non sai dove.

Ultima surprise for me ... sono pure milanesi!? ... se sono anche interisti ... la cosa rasenta la perfezione!!

target, autore, alle 20:01 del 18 novembre 2013 ha scritto:

La recensione, specifico qua visto che ancora non è stato specificato sopra, è stata scritta con Marco Biasio. E da lui è venuto il suggerimento di ascoltare e recensire questo bel disco. Quindi giro a lui i ringraziamenti, anche da parte mia

Giuseppe Ienopoli (ha votato 8 questo disco) alle 20:14 del 18 novembre 2013 ha scritto:

... don Biasio?! ... sempre sia lodato! ... e con lui il bravo Recensore.