Tame Impala
Currents
Arduo anche solo immaginare che l'incontro/collaborazione con Mark Ronson (ben tre pezzi forse i più belli del recente Uptown Special) non abbia avuto alcun peso sulla svolta di Kevin Parker, qui traghettatore del progetto Tame Impala verso lande synth-pop, r&b e synth-funk ove le chitarre sono (quasi del tutto) bandite. Eppure Kevin retrodata la sua scelta a un momento imprecisato dopo l'uscita di Lonerism (2012) quando, stufo di psichedelia rockeggiante e appena uscito da una lunga relazione sentimentale, accarezzò per la prima volta l'idea di comporre musica a misura di discoteca, non del tutto epurata dal proprio retroterra psych ma fruibile in un contesto assai diverso. Una musica che parlasse al mondo del nuovo Kevin Parker, solo e impaurito, colto in danzereccio momento di transizione.
In realtà e questo è un primo spunto di rilfessione la cifra compositiva del musicista australiano non ne esce affatto snaturata. Anzi, ad assaggiare spumini come la tesissima The Moment o l'arzigogolata Eventually sembrerebbe addirittura rafforzata, focalizzata come quasi mai è stata finora. 'Cause I'm A Man, altro esempio, è forse l'apice dei Tame Impala, la loro canzone più catchy e birichina, pur conservando la cadenza e le progressioni melodiche tipiche dei loro mid-tempo. Soltanto nel numero disco di The Less I Know The Better e nel ripugnante quasi-r&b Past Life la scrittura è piegata alle esigenze del groove, per il resto a mutare è l'abito: batteria filtrata e pastrocchiata all'inverosimile (l'AOR di Reality In Motion), tastiere di ogni marca e modello (l'overture dai toni prog-drammatici Let It Happen, altro vertice), occasionale basso slap ai suoi massimi ('Cause I'm A Man, appunto).
Ed eccoci subito all'altra questione: il sound. Anche qui se ne sono lette di tutti i colori, da chi lo liquida come mero rigurgito chillwave a chi, eleggendolo momento topico del pop-rock del nostro decennio, sentenzia che Currents like Loveless or Kid A or Yankee Hotel Foxtrot, it's the result of a supernaturally talented obsessive trying to perfect music while redefining their relationship to album-oriented rock (non voglio nemmeno sporcarmi le mani con la traduzione). Eppure, fatte le debite proporzioni, quel che Parker ha realizzato è effettivamente peculiare: una specie di via di mezzo tra lo-fi e suono laccato, forse più vicina al secondo estremo piuttosto che al primo. Ricetta che con le produzioni glo-fi condivide pochino in fatto di stile, impatto (bassi e batteria, seppur processati, picchiano con un'intensità e una fisicità sconosciute alla chillwave) e immaginario. Un referente più adatto almeno per quanto riguarda il missaggio sembra essere l'Ariel Pink di Before Today, se non fosse che la pressoché totale assenza delle chitarre stride coi dettami del folletto rosa, collocando il nostro disco in una posizione ancora una volta isolata o quasi.
Insomma, Kevin Parker è davvero un perfezionista. Ha solo avuto il grave difetto di aver perfezionato una mezza ciofeca di musica. Almeno finora, perchè questo Currents è, a parere di chi scrive, il suo primo album degno di definirsi tale. Un lavoro finalmente compiuto, a tratti irresistibile. Dai fan della prima ora - il vero zoccolo duro di questa insolita one-man band, Pitchfork o meno - finirà con l'essere ricordato come un simpatico lavoro di transizione, in stile McCartney II, e sarà un peccato perchè è qui che troverete la dimensione a Parker più congeniale. Sia detto in confidenza (e col massimo rispetto per la gattina sexy in questione), ma mollare Melody Prochet non avrebbe potuto giovargli di più.
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