Giorgio Poi
Smog
Ci avevano già provato qualche anno fa gli Uochi Toki di Idioti, in uno dei loro non rari scivoloni di supponenza retorica, a leggere nella mente di un fruitore attivo medio della loro proposta, sfidandolo a non accontentarsi di promozione, rivalsa, od un banale stare a galla in 500 battute non pagate. Quando Giorgio Poi riprende in mano la propria chitarra acustica per la strimpellata finale in compagnia di Calcutta (La Musica Italiana) il tono è, voglia il cielo, incomparabilmente meno astioso e più leggero, autoironico (Le mani nei capelli / Quando partiva Vasco / Battiato, che paura / Chissà che lingua parla / Battisti e Lucio Dalla / Fanno musica di merda / Calcutta e Giorgio Poi / Madonna che tristezza), ma la conclusione logica che se ne trae non troppo differente: tutti bravi a fare gli snob con la critica alla ragion pura degli altri e che la posta in gioco sia una fantomatica visione dellintensità della lingua o il nemo nostalgicus in patria del nuovo pop tricolore in fondo poco cambia.
E poi e poi e poi La novità è che non cè niente di nuovo: dopo il buon successo dellesordio Fa Niente, dopo un interregno di penne, voci e strumenti prestati alle alte chart (se Frah Quintale ha sfondato con Missili, sebbene non sia dato sapere cosa, lo si deve anche a lui), con Smog Giorgio Poi compila uno stringato sophomore che rinnovate ambizioni commerciali a parte riesce nellimpresa di non aggiungere alcunché di significativo a quanto già sapevamo del cantautore capitolino. Dinoccolati vademecum antiodeporici tra paso doble slacker e nuova scena romana (interessante la prospettiva di Non Mi Piace Viaggiare, che fa curiosamente il paio con la già citata La Musica Italiana), corali ritratti generazionali con scricchiolanti arrangiamenti da it-pop anni 80 (Vinavil), le striature stroboscopiche di una Maionese che prova a riscrivere Tubature con allure da stadio (non riuscendoci), gli accenti jazz di unenfatica ballata che affianca melodia beatlesiana a mediterraneità battistiana (Solo Per Gioco). La lista potrebbe continuare a lungo, ma sterilmente. La complessità delle costruzioni strumentali, già dissimulata con perizia nellesordio, cozza qui contro uneffettiva volontà di semplificazione e standardizzazione: per cui la stratificazione è puntinistica, colta solo in singoli istanti e passaggi (il salto di tono nel ritornello sinestetico della bella Ruga Fantasma, chiuso salomonicamente in minore: i rientri armonici di Napoleone, il cui testo intessuto di belle metafore ben si sposa con la melodia di synth). A mancare allappello, nonostante la durata asciugata allosso, è però lo sguardo dinsieme, la Gestalt arty: per assurdo, per rimettere le cose a posto deve arrivare un singolo canonico, per quanto gradevole, come Stella (la Coffee And Tv per gli amanti dei Tame Impala).
Incrociando la dimessa ed originale poetica di Smog (il viaggio sofferto, ripudiato: generazione Erasmus fino a un certo punto) coi suoni e le invenzioni del primo capitolo si immagina un bel disco, che però, nella realtà, non esiste. Qui il cruccio, conoscendo le potenzialità del deus ex machina, è significativo. La risposta dello zoccolo duro non si farà comunque attendere: fa niente
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