Afghan Whigs
Congregation
Conosco i tuoi vizi, Greg. Il tuo peccato originale. La tua dannazione. E qualcosa che ci accomuna, il disperato fatalismo di chi sopravvive nonostante tutto. Sei un figlio di buona donna, Greg. Ma ti voglio bene lo stesso, perché sai cercare la bellezza anche quando il buco che hai sullo stomaco è riempito da solitudine e malinconia. Soprattutto da quei momenti di solitudine e malinconia. Questo è il destino dei perdenti dentro, ridotti a dannarsi e a celebrare uninfinita assenza, e tu sai cosa vuol dire. Ti lacera con calma, lassenza di un corpo desiderato, del fondotinta nero sugli occhi chiari di lei, delle sue labbra morbide. Non ci resta che baciare il pavimento dove la nostra musa camminava a gambe nude, come vampiri lontani dalla luce (Kiss The Floor), e tornare alle confessioni incapaci di barare, alle dediche, alle fottute congiure personali (lacido wah-wah funk del J. Mascis in occhiali scuri di Conjure Me ). Forse lamore è un oggetto indecifrabile ma il suo vuoto fa dannatamente male, Greg.
And walk the mile into this web of my conspiracy. I'm gonna turn on you before you turn on me I'm in a hole, but i don't feel the safety net. I have your soul, but i am wasting it
Il rock passionale e turgido degli Afghan Whigs ci manca molto in anni di innocue new sensations preconfezionate. La band di Greg Dulli (oggi gran cerimoniere nei Twilight Singers e Gutter Twins) fu una delle migliori invenzioni emerse dallalta marea anni Novanta. Avevano addosso lurgenza irrequieta e rumorosa di un Bob Mould nevrastenico, però già intravedevi in certi passaggi un caldo vigore di matrice black legato allascolto dei vecchi vinili Motown e Atlantic (lhardcore appena mitigato di Big Top Halloween, 1988). La definitiva maturazione di Congregation, stampato il 31 gennaio 1992, eredita e imbastardisce gli umori grunge dellesordio Sub Pop Up In It, ed è qui che il gruppo di Cincinnati fa la differenza e inizia a prendere le distanze da Seattle e dintorni. Simbolica e bellissima la copertina: una giovane donna afroamericana con una neonata bianca che piange, nude su un drappo rosso in un abbraccio carnale e materno.
And wait until tomorrow night i can't recall yet if i'm black, or if i'm white or wrong I am your creator, come with me my congregation Get up i'll smack you back down
Una potente metafora che tornava allorigine della progenitura rock, la madre nera soul e le grida del nascente rnr bianco avvinghiati e inseparabili, e unefficace sintesi visiva di ciò che ascolteremo. Il cordone ombelicale con il vecchio rhythm and blues non è mai stato reciso nella musica alternativa dei quattro afgani, e se la loro benedetta diversità dal resto del carrozzone non ebbe allepoca leco che meritava (un dono e una maledizione secondo le parole di Dulli) noi reduci in flanella sappiamo quanto furono importanti e preziosi nella nostra valigia dei ricordi. Lasciutta produzione di Greg Dulli e Ross Ian Stein esalta i toni di un sanguinante golgota sentimentale e i torbidi chiaroscuri di relazioni fallite (lintro Her Against Me, piccola rosa di spine con una virginale Miss Ruby Belle al canto, Let Me Lie To You, strepitosa e lirica ballad di ferite non rimarginate, il folk passionale di Tonight). Un suono salato di lucida abnegazione poetica, triste e aggressivo, che nellalchimia tra lurlo negro e appassionato di Dulli, le sei corde di ruggine e miele del buon Rick McCollum e laffiatata sezione ritmica con Steve Earle alla batteria (omonimo del cantautore di Fort Monroe) e John Curley al basso trova il suo baricentro ideale a uneclettica congregazione rock-soul.
No one to play with your eyes are all swollen from crying Feeling sick. You open it, and discover your lover between the legs of another
In quella voce stropicciata di notti bianche e troppo alcol, senza possibilità di redenzione, cè tutto il senso di perdita e dipendenza che attraversa Congregation. Dipendenze da droghe chimiche e sessuali: il lascivo vortice elettrico di Im Her Slave che implode su un piano ragtime e in decadente rabbia repressa (Turn On The Water) e la catarsi di una corale The Temple ripresa da Jesus Christ Superstar sono tagli indelebili sulla pelle di unanima malandata. Perdita di unamante, dellalcova che ora ti circonda di fiamme e demoni, di un genio che saluta questa terra di lacrime. Singolare, a proposito, la storia dietro Miles Iz Ded, memorabile ghost-track suggerita (a registrazioni ormai concluse) dallamico discografico David Katznelson il giorno della morte di Miles Davis. Il riff lancinante di McCollum e le rullate di Earle faranno il resto in una fulminea session di studio, consegnando allepica maudit di Dulli uno dei suoi vertici assoluti. Dont forget the alcohol è una frase che non dimenticheremo facilmente, Greg. Tantomeno il viscerale romanticismo dei tuoi Profughi Afgani.
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