St .Vincent
Strange Mercy
Nel favoloso mondo di Annie Clark gli opposti si attraggono e respingono in perpetuo reverse. Nei suoi riccioli scuri e occhioni svegli cè tutta larguta sensibilità pop del moniker St.Vincent, la one girl band preferita da chi ama cozzare istinto arty e tocco avanguardista. E uno sfizioso progetto di melodismo anomalo più suoni obliqui, quello dellex-multistrumentista dei Polyphonic Spree, affine tanto al Bowie berlinese e electro-wave di Scary Monsters che a una Leslie Feist resettata con lelettroshock. Volevate una nuova contessa scalza di-nero-vestita? Eccola. Può sussurrare languida che lei non sarà mai una Cheerleader e poi maledirvi con riff di lunatica elettricità (ha un arsenale di effetti pedal-board che nemmeno Tom Morello). Può farlo immergendo Tori Amos tra vampate di droni reznoriani, oppure mentre immagina le nuvole pastello di Brian Eno a immalinconire il prossimo Terry Gilliam.
La ragazza ci sa fare e non lascia indifferenti con il suo estroverso pot-pourri di contrasti e schizofrenie latenti in mosaici-canzone da 3-4 minuti, sempre sullorlo di unimplosione cerebrale come tanti Randle McMurphy chiusi nello stanzino a discutere di neutrini e velocità della luce. Capitava con i pregevoli embrioni di baroque-pop mutante Marry Me e Actor, e capita ora alla terza prova strabordante e compiuta di Strange Mercy. Una strana pietà che ha il gusto beffardo del tranello: troppo furba e consapevole di sé la dolceamara Annie per simulare il mea-culpa da queste undici stranezze di gelido impressionismo alt-pop, troppo fessi noi che al primo schioppo sonoro della cinemascopica Chloe In The Afternoon (i Dirty Projectors al ralenty su sfondo disneyano) siamo già candidamente ipnotizzati.
A St.Vincent piace vincere facile con i suoi indie-clienti, li seduce e maltratta come lomonimo casinò valdostano, spariglia le carte e ammicca truffaldina tra lassolo astratto che spunta a tre quarti della fantasmagorica Surgeon, un dionisiaco Prince destrutturato, e le isteriche poliritmie di Northern Lights e, appunto, Hysterical Strength. Dissonanze che sommate alla voce di porcellana della pallida cantautrice-chitarrista, agli archi, sax nevrastenici, violini, bjorkismi digitali e vaporosi synth-mini moog fanno pensare a un ingordo musical gotico su Il Mago Di Oz. Produce col solito escapismo alternative lottimo John Congleton, perfetto nel bilanciare ai texani Elmwood Studio lintricata ragnatela avant-rock dellancella di Tulsa, sirena impagabile quando gioca con i ritornelli wave del singolo Cruel, epidermica danza non-sense à la David Byrne, e fa la maliarda nelle sincopi in naftalina del post-soul Dilettante, una madame Eleanor Friedberger meno stressata.
In Strange Mercy la contundente musica di Miss Clark pare aver trovato un suo baricentro dinquietudine uterina (vedi la bella art-cover di Tina Tyrell), un teso equilibrio che apre agli inediti slanci della Joan As Policewoman infine pacificata di Year Of TheTiger e dellintima Champagne Year. Lodi alla ragazza quindi, col talento sulle spalle di chi, ripeto, ci sa fare. Daltra parte una che prende il nome dal Saint Vincents Catholic Medical Center in cui Dylan Thomas salutò questa terra ha una marcia in più, e raramente passa inosservata.
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