Battles
Mirrored
È molto basso il rischio di sbrodolare nelleccesso di enfasi considerando i Battles IL supergruppo ideale, poichè costituito da vere e proprie stelle del più integro e distintivo suono che sia uscito dagli Usa negli ultimi anni.
Un po come nelle fantasticherie di ogni appassionato in stile Alta fedeltà si trovano insieme ad impersonare il prototipo di band dei sogni proibiti: alla batteria quel John Stanier che con le sue granitiche impalcature ha portato il peso del noise core dei seminali Helmet prima e laggressività dei Tomahawk di Mike Patton poi; alla tastiera chitarra e effetti vari cè il deus ex machina del progetto, Ian Williams, alfiere del sottobosco americano coi matematici Don Caballero e gli sperimentali Storm And Stress; coadiuvati dalla tecnica millimetrica della chitarra di David Konopka (già nei Lynx) e dallestro di Tyondai Braxton, figlio del celebre artista free jazz Antony Braxton e già titolare di un prestigioso curriculum maturato in esperienze avant.
Questo Mirrored è il loro disco.
Attesissimo, quasi invocato.
Dalla diffusione virale dei tre EP usciti nel 2004 (raccolti poi in un unico cd dalla mai troppo lodata Warp) leccitazione intorno a questo progetto è montata implacabilmente e, col succedersi di concerti e pubblicazioni, il passaparola degli appassionati si è fatto sempre più insistente.
Si celebravano concerti strepitosi, dove involute geometrie sonore venivano dilatate ora in dimostrazioni di freddezza tecnica e vigorosi incastri ritmici, ora implodevano in meditabonde tracce al limite di certo noise-ambient, tutto esposto con unestetica dal forte impatto visivo che centrava allo stomaco il già entusiasta pubblico.
Gli EP inducevano unaura misteriosa sin dal titolo: Tras, EP C, B EP; intestazioni elementari e schematiche, che colpivano limmaginazione molto più efficacemente di qualsivoglia titolo chilometrico, e che racchiudevano una musica mai ascoltata prima, dalle forti angolature e sperimentazioni insolite: composizioni ostiche, sputate senza compromessi, rigorose e perlopiù strumentali, eredi legittime del math rock Usa anni 90 di cui label come Touch And Go e gruppi come June Of 44, Don Caballero, Rodan, Polvo, Us Maple furono pionieri.
Il video di Atlas poi, disponibile sulla pubblica piazza di YouTube tre settimane prima della data di uscita dellalbum, ha generato un tam tam febbrile difficilmente riscontrabile per uscite di genere, senzaltro non a sproposito.
Il brano in questione è, in tutto e per tutto, una dimostrazione di come siano solo sterili piagnistei le affermazioni di impossibilità a creare musica inedita, adducendo il fatto che tutte le combinazioni possibili siano state utilizzate, o che la reale innovazione stia nella reiterazione di stilemi già conosciuti assimilando le più disparate influenze memori di furori passati (o per meglio dire: revival).
Se il 2007 (ma si potrebbe prendere un lasso di tempo anche più lungo ) dovesse essere rappresentato da una singola traccia, che superi tutte le altre in termini di innovazione, la candidata eletta sarebbe proprio questo mostro.
Nel video si vedono i quattro ripresi dal vivo mentre suonano allinterno della scatola-stanza di specchi che ritroviamo in copertina, e mentre la scatola sembra gonfiarsi e sgonfiarsi percossa e persa nel vuoto cosmico in un gioco di rifrazioni, lenergia straborda contagiosamente dai pixel dello schermo ai nostri occhi eccitati e una melodia aliena si insinua nel cervello: la voce filtrata e bambinesca blatera una incomprensibile filastrocca tanto demenziale e disumana quanto ipnotizzante, su una base ritmica simil-industrial e potenti groove di basso che sembrano bordate di tubi arrugginiti sbattuti tra loro: un vero e proprio blocco di granito che si risolve in unorgia di groove.
La grandezza del brano in questione stà tutta nella tecnica sopraffina dei quattro, con la quale si riesce a far passare come esercizio ludico-pop sinceramente entusiasmante un coacervo di stili estremi, che in altre mani avrebbe generato un macello.
Siamo in tuttaltro territorio, ma ricorda un po quello che sono in grado di fare un gruppo come i Liars.
Tutto Mirrored cammina su queste coordinate di base e contiene episodi dalla statura fenomenale: Ddiamondd, ad esempio, è una sventagliata di nevrosi e ipercinetismo da System Of A Down del 2020, con riff di chitarra epici e potenti a calcare su una voce isterica e un finale che scartavetra i nervi; Leyendecker possiede il classico drumming helmetiano e la vocina da bambino marziano a fluttuare nei notturni soundscapes in sottofondo; il post-jazz di chi ha bevuto troppi caffè di Rainbow; le funamboliche digressioni tipo Tortoise con un intero flacone di vitamine in corpo di Snare Hangar; i Gastr del Sol mandati a doppia velocità di Race: Out.
Musica che così descritta potrebbe sembrare ostica e intellettualoide ma così non è, perchè se le sperimentazioni assumono un ruolo predominante, ciò non frena al disco di dischiudersi magicamente dopo qualche ascolto come unopera profondamente pop, ricca di dettagli e di fraseggi memorabili, capaci di entrare nella mente di chi ascolta e segnarne il passaggio in modo indelebile.
Si ascolti lentrata noise in sbornia da Echoplex di Tij e i suo dispiegamento math-prog alla Don Caballero ma più oliati, meno secchi e fisici, per provare qualcosa che non si era ancora sentito.
Coordinate approssimative per un album assolutamente originale che lancia lidea di un suono nuovo, che traccia un sentiero nellignoto, non racchiudibile in steccati se non quello dei dischi da non perdere.
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