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R Recensione

6,5/10

Jim Bryson

Somewhere We Will Find Our Place

Un tempo si diceva che se da un disco riuscivi a estrarre due pezzi da mettere in una "mista" autoprodotta avevi trovato un buon disco. Perché la selezione era spietata: le cassette e i CD-ROM arrivavano al massimo a 90 minuti, e concentrare tutto quello che volevi ascoltare in macchina (o in autobus, o per strada) in poco più di un ora richiedeva uno sforzo notevole . La scelta era una corsa a ostacoli fatta di rinunce, tagli e sacrifici. Anche perché poi quella compilation casalinga te la portavi in giro per mesi, e un eventuale errore ti sarebbe costato caro.

Un problema del passato remoto, direte. Ormai abbiamo tutti 90 terabyte di memoria sullo smartphone, possiamo caricarci dentro la discografia di John Zorn e dimenticarcela. Non solo, abbiamo Spotify, Napster, Itunes, Youtube e chissà cos'altro. Passi un dito sul display e hai tutta la musica che vuoi, senza problemi. Invece il problema esiste ancora, e il motivo sta tutto in quel "hai tutta la musica che vuoi". Perché quando hai tutto, non sai più quello che vuoi. E allora - si diceva - riuscire ad ascoltare un disco nuovo per intero e trovare ben due brani "memor(izz)abili" da salvare su una playlist, è un mezzo miracolo. Quei due brani, nel computo totale dei fantastiliardi di brani di cui disponi, costituiscono una percentuale enorme. E' come vincere due premi della lotteria comprando una manciata di biglietti.

Tutto questo per dire che da un solo ascolto di "Somewhere we will find our place" ho salvato ben due brani. E non dite che non ve ne frega una mazza perché non mi succedeva da un decennio. Sebbene sia un perfetto sconosciuto, Jim Bryson ha all'attivo collaborazioni importanti (Kathleen Edwards, Howe Gelb, The Weakerthans) e ben cinque album da solista a supporto di una carriera che ha superato i quindici anni di attività. Una dignitosa e professionale seconda linea, nella caotica concorrenza indie-rock canadese. Il disco è esattamente come lo state immaginando: pop e folk in quantità, musica per collettivi indie (produce tutto Charles Spearin dei Broken Social Scene), slanci vitali ("Changing Scenery") associati a intimismi country-folk degni di Iron & Wine ("Stuck in The Middle"), pop energico ("Breathe") e soluzioni armoniche "alt" ("Cigarette Thin"). Un vero e proprio compendio indie-rock scritto, suonato e arrangiato con classe, gusto e mestiere.

Ah già, i due brani sono "Ontario", pezzo folk intenso e ispirato, che mette Bryson su quel "treno regionale" (notare il titolo) varato da Sufjan Stevens e guidato da malinconica geografia; e l'iniziale "The Depression Dance", danza liberatoria magistralmente cucita sul giro di basso e ricca di rimandi ai migliori Arcade Fire (e quindi, toh, ai Bruce Peninsula).

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