Bruce Peninsula
Open Flames
Il mondo intero aspettava con ansia e fiducia il ritorno dei Bruce Peninsula.
Ok ok, il sottoscritto e qualche altro nerd sparso per il globo aspettavano con ansia e fiducia il ritorno dei Bruce Peninsula. La fiducia nasceva da quel disco desordio che non abbiamo timore di definire il migliore degli ultimi anni in ambito indie rock. Lansia era causata dallo stato di salute del leader Neil Haverty, colpito dalla leucemia alla fine del 2010. Dopo aver scoperto la malattia ed aver iniziato la chemioterapia, Neil aveva annunciato: Credetemi. Sentirete parlare presto dei Bruce Peninsula. Ha mantenuto la parola: si è rimesso in sesto, ha seguito dal divano di casa le scorribande dei suoi compagni e amici (Katie Stelmanis negli Austra, Taylor Kirk nei Timber Timbre, Casey Mecija negli Obijou, Tamara Lindeman nei The Weather Station) e adesso ha riunito la banda al gran completo per presentare Open Flames.
Neil, e qui lansia si scioglie definitivamente, è in forma smagliante: un Bruce Springsteen assoldato dagli Arcade Fire, un Mark Lanegan al microfono dei Bodies Of Water, un Tom Waits sul palco con i Polyphonic Spree. La band poi, gira a mille, segno che la nostra fiducia era ben riposta.
Il tratto distintivo dellesordio dei Bruce Peninsula (A Mountain Is A Mouth 2009) era il suo saper sfiorare molti generi musicali senza doversi riconoscere in nessuno di essi. E il Canada indie dei Bruce Peninsula è ancora un non-luogo trapiantato in territori sconosciuti (gospel, folk, blues ), un concerto di fine anno nelloratorio del rock, uninvocazione di fede profana. Le fiamme libere dei Bruce Peninsula bruciano zolfo e incenso, evocano Tommaso DAquino e Charles Darwin, rappresentano le due anime di Nick Cave in un raro momento di reciproca consapevolezza.
As Long As I Live (già inclusa nella colonna sonora del film Small Town Murder Songs) introduce il disco su un basso devastante. Il coro interpreta il gospel più rock che abbiate mai ascoltato, rispondendo alla voce di Neil Haverty che scartavetra su una musica puramente ritmica, tribale, viscerale. In Your Light inserisce ricami di chitarre simili a quelle degli ultimi Dirty Projectors, ma è ancora una volta l'impianto ritmico a ribaltare calici e ostensori sull'altare. Haverty e il basso creano risposte anti-ritmiche rispetto al solito imponente coro prima di cedere il leggio ad una Misha Bower semplicemente divina.
Open Flames mostra subito di essere un disco di livello superiore anche rispetto al suo illustre predecessore. La compenetrazione tra il coro (diventato ormai elemento primario e spesso solista) e le strutture musicali è perfetta: Pull Me Under è un saggio di bravura inarrivabile per chiunque, coraggioso e prezioso in un ambiente (quello generalmente considerato indie-rock) orientato sempre di più verso la semplificazione in chiave pop. I Bruce Peninsula vanno in senso opposto, creano sovrastrutture vocali, poliritmie, giocano con gli accenti, dimezzano le pause, annullano ogni ripetizione.
I Bruce Peninsula ormai possono concedersi tutto: ballate percussive per cerimonie funebri (la voce di Misha Bower in Warden è perfetta), esercizi di classe in equilibrio tra folk e pop-gotico (vedi i già citati Austra) ma improvvisamente (a dir poco) sferzati da innesti rock maestosi e oltremodo corali condotti dalle voci femminili appena sporcate dalla voce di Haverty (Say Yeah). E anche quando alle ragazze viene concessa intimità, su letti acustici campestri, non c'è mai un calo di tensione, un momento di tregua, in questa musica così viva, così infuocata (Open Flame). Per questo motivo mi si perdonerà il banale e pedissequo track-by-track, ma non è possibile tralasciare neanche l'improvviso cambio di rotta di una Or So It Seems che da semplice folk ballad diventa una marcia rituale guidata da banjo e batteria, il Neil Haverty in gran spolvero tra le progressioni melodiche di Adrenaline (provate a paragonarla alla banalità di gran parte dell'indie-rock contemporaneo) e la coda delirante fatta di gospel laico e tentazioni digitali. Le stesse tentazioni che tingono di nero la marcia mistica di Cliffs & Coves (e quel sax?) verso il finale compiutamente e (quasi) classicamente folk-rock di Chupacabra, e che lasciano in testa la sensazione di poter credere in un ulteriore, incredibile, futuro miglioramento.
Un album straordinario dalla prima all'ultima nota. Questa è l'ultima chiamata, Santo Dio. Ascoltate i Bruce Peninsula!
Tweet