Chet Faker
Built On Glass
Cè un'immagine che non riesco a scacciare ascoltando questo disco, nella calura di giugno, mentre dovrei almeno sfogliare quelle pagine da memorizzare al più presto possibile: una terrazza, il sole ambrato del tardo pomeriggio, ormai privo della rabbia mattutina, che filtra attraverso la scena come in una polaroid, un posacenere con una sigaretta fumante (che poi io neanche fumo) e più in là, nella stanza, un letto vuoto, le lenzuola bianche disfatte.
Built on Glass gira sul piatto, si sentono i crepitii della puntina. Attendo che il soul elettronico dellaustraliano riempia laria. A passi felpati di organo si fa avanti Release Your Problems, linvito perfetto allascolto. I contatti sempre più numerosi stretti col mondo dellelettronica (lottimo EP Lockjaw in collaborazione con Flume è un perfetto prologo al nuovo disco) hanno fatto si che il suono si espandesse e, digitalizzato, si facesse più ambientale. La conduzione è sempre ruolo della voce, che spinge con timing perfetto, lì poco è cambiato.
Un sax, una voce campionata (James Blake docet) e Talk is Cheap si rivela, coi suoi topoi soul 2.0 impiegati da manuale; sensualità, batteria spezzata, gli woo catchy sovraincisi che si sprecano. Chapeau.
E di qui in poi si scivola ancora un po sulla sdraio, pigri, su bassi glo-fi ancora più astenici degli originali (Melt, nella quale compare la sinuosa figura della bella Kilo Kish) episodi RnB dal retrogusto nineties (Gold) e ballate languide (To Me)
A metà disco una voce avvisa: That was the other side of the record. Now relax still more and drift a little deeper as you listen. Ormai sono un tuttuno con la sedia e Faker approfitta della mia debolezza per uscire dalla sua zona di comfort.
Blush è un tentativo non perfettamente riuscito di trasportare il lounge degli Air negli anni della chillwave e del post-dubstep. I ritmi si alzano e flirtano col dancefloor in 1998 ma restano sempre vagamente sopiti, come la voce mormorata e lo snare che si infrange godurioso e liberatorio come un tuffo in acqua. John Talabot svuotato e spossato dal caldo.
Non è musica da ascoltare in cuffia, datele spazio, fatela espandere, come fumo che si arriccia nellaria, ipnotico. Chet e le sue sigarette... Cigarettes and Loneliness è piazzata nello stesso punto di Cigarettes and Chocolate, terzultima dellEP "Thinking in Textures". Dove cera nostalgia balearica ora cè un giro di chitarra meccanico alla Radiohead, interventi post-dubstep il cui ritmo spezzato e freddo cresce con la linea vocale da folksinger fino al climax: Breathe, this is love without love without love without love .
Love, what've you done with my tongue?I open my mouth but you hear me wrong Ora so perchè il letto è vuoto.
Il background del barbuto australiano ha i confini sfumati e promette bene per il futuro, adesso è un po come ascoltare un depliant sonoro; svariate idee, qualche indulgenza ambient di troppo (Lesson in Patience), un pezzo come No Advice (Airport Version) basato solo su un canto a cappella dal sapore agreste (dobbiamo considerarlo un riempitivo o una sperimentazione?) e qualche sezione con poco senso come la coda di "Gold". Non tutto è a fuoco, il nostro Chet avrebbe potuto prendersela un po più comoda, magari non 8 anni come per lesordio, solo il tempo necessario perchè potessimo avere altre bombe lascive come Im Into You o Terms and Conditions.
Quando lRnB luccicante di Dead Body termina si porta via anche il mio sogno ad occhi aperti, di tutta la mia fantasia da brama estiva è rimasto solo il letto da rifare.
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