Surf City
Jekyll Island
Il piccolo universo musicale colorato posto ai nostri antipodi a questo giro ci propone un freschissimo shoegaze-surf pop a marchio Surf City (un nome, un programma), band di Auckland, al terzo abum e sempre più da tenere sotto osservazione.
Licenziato dopo un estenuante tour fra Stati Uniti ed Asia, Jekyll Island punta ad essere un lavoro compiuto e maturo nel sound, riuscendoci. Il pot-pourri di flower power e college rock messo a punto ha il profumo del primo e la corposità del secondo e viaggia placidamente fra arpeggi liquefatti, nenie psichedeliche e chitarre rumorose, inseguendo unestetica DIY forse un po esagerata nel missaggio.
E di summer of love la fragranza che si sente nellincedere di Beat the Summer Heat vicina alloperazione di recupero dei Temples, per stare ai giorni nostri e nei riverberi di Jekyll Island (And the Psychosphere), per chi li ricorda, gli Splashh sono dietro langolo, come gli Yo La Tengo in What They Need
Altrove è lo spettro, neanche troppo evanescente, di certo indie pop, Real Estate su tutti, a fare capolino nelle belle melodie di One Too Many Things e Indian Summer. Thumbs Up risulta invece straordinariamente vicina ai compagni di etichetta Blank Realm, con quegli organetti irriverenti e le linee vocali drogate.
Certo è difficile riuscire a dire qualcosa di nuovo in un genere così inflazionato e che, forse, neanche richiede di essere rinnovato, ma nonostante le vagonate di band che in questi anni hanno proposto questa ricetta Jekyll Island riesce a non inabissarsi nel mare della mediocrità. Anzi, un paio di assi nella manica come Hollow Veins (pop orecchiabilissimo e spensierato, maniera primi Girls) e Spec City lo rendono un ascolto consigliato, un disco di quelli che serve avere a portata di orecchio. Chissà, al prossimo potrebbe esserci il botto.
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