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R Recensione

7/10

Surf City

Jekyll Island

Il piccolo universo musicale colorato posto ai nostri antipodi a questo giro ci propone un freschissimo shoegaze-surf pop a marchio Surf City (un nome, un programma), band di Auckland, al terzo abum e sempre più da tenere sotto osservazione.

Licenziato dopo un estenuante tour fra Stati Uniti ed Asia, “Jekyll Island” punta ad essere un lavoro compiuto e maturo nel sound, riuscendoci. Il pot-pourri di flower power e college rock messo a punto ha il profumo del primo e la corposità del secondo e viaggia placidamente fra arpeggi liquefatti, nenie psichedeliche e chitarre rumorose, inseguendo un’estetica DIY forse un po’ esagerata nel missaggio.

E’ di summer of love la fragranza che si sente nell’incedere di “Beat the Summer Heat” vicina all’operazione di recupero dei Temples, per stare ai giorni nostri e nei riverberi di “Jekyll Island (And the Psychosphere)”, per chi li ricorda, gli Splashh sono dietro l’angolo, come gli Yo La Tengo in “What They Need

Altrove è lo spettro, neanche troppo evanescente, di certo indie pop, Real Estate su tutti, a fare capolino nelle belle melodie di “One Too Many Things” e “Indian Summer”.  “Thumbs Up” risulta invece straordinariamente vicina ai compagni di etichetta Blank Realm, con quegli organetti irriverenti e le linee vocali drogate.

Certo è difficile riuscire a dire qualcosa di nuovo in un genere così inflazionato e che, forse, neanche richiede di essere rinnovato, ma nonostante le vagonate di band che in questi anni hanno proposto questa ricetta “Jekyll Island”  riesce a non inabissarsi nel mare della mediocrità. Anzi, un paio di assi nella manica come “Hollow Veins” (pop orecchiabilissimo e spensierato, maniera primi Girls) e “Spec City” lo rendono un ascolto consigliato, un disco di quelli che serve avere a portata di orecchio. Chissà, al prossimo potrebbe esserci il botto.

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