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R Recensione

7,5/10

Feist

Metals

Leslie Feist è una donna che va oltre le apparenze. Una che si prende tranquilla il suo periodo di pausa, più lungo della media dei governi italici, senza farsi inquinare dall’ansia dell’improvvisa ribalta. Qualità da mosca bianca in un bazaar discografico di nani e ballerine che crede pitchforkianamente cool dare asilo politico alle scemenze di Chris Martin. Lei invece la notavi subito nel mucchio di cantautrici venute fuori dal maelstrom-indie del Duemila, per una classe innata e priva di fronzoli, un allure spontaneo che avresti riconosciuto anche trovandotela dietro la cassa del discount all’angolo. E vatti a fidare di certe commesse che sotto il camice annoiato dell’ordinarietà nascondono più sorprese d’una diva-burlesque. Feist non aveva bisogno di sgomitare, quella silhouette ossuta e volitiva non perdona a prescindere perché “ha tutte le carte in regola” e molte ragioni per farsi amare. Prendete la meravigliosa astrazione a mo’ di collage-hippy sulla copertina del quarto album “Metals”, guardatela bene nei suoi tratti bicromatici (scelti con un concorso tra fan sul sito web) e ditemi se è così complicato innamorarsi dell’arguto disincanto di codesta artista. Non inganni però l’acume compositivo e grazia intellettuale, la smilza signorina è tipa tosta nonostante l’aspetto carezzevole e una voce di velluto da seratina soft-porno. Passati gli abbagli lounge-soul di “Let It Die” e l’intricata-intrigante eleganza che sosteneva l’acclamato “The Reminder” la canadese nata ad Ahmerst prosegue la sua testarda idea autoriale tornando alla nuda polpa elettro-acustica del miglior pop-folk anni ’70, rivisitato dentro il retrogusto dolceamaro dei nostri giorni.

“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità” diceva il vecchio saggio, ricordate? L’eterno adagio peterparkeriano ben si adatta alle aspettative che hanno accompagnato l’uscita di “Metals” a quattro anni da “The Reminder”, il classico botto che centrifuga una carriera e ti fa uscire dal protettivo recinto indie-pop con (impensabili) vendite multiplatino e un virale product-placement che spalma implacabile il tuo talento adesivo su spot tv e suonerie-chic. Potenza di qualche irresistibile filastrocca in punta di piedi (“One, two, three, four…Tell me that you love me more…”) e dello spietato marketing pubblicitario che c’infilza i neuroni stressati di appiccicosi ritornelli per qualche I-pod o smartphone in più. Certe affinità spirituali bacharachiane, filtrate da una sensibilità tanto elusiva quanto figlia del presente, facevano poi il resto: innamorarsi di Feist e delle sue morbide melodie colorate di tenue introspezione è come catapultarsi attraverso tanti piccoli fotogrammi di romantiche colazioni sulla Fifth Avenue con Audrey o in un bistrot parigino ad aspettare ex poliziotti falliti.

“Metals” conferma e rilancia la non comune cifra stilistica dell’autrice di “I Feel It All”, quello sfuggevole e docile equilibrio a lato tra la sofisticata discrezione delle maestre Joni Mitchell-Carole King e la contemporaneità alt-folk di Cat Power, intrecciate alla bruma sentimentale dell’indie-rock irrequieto e sperimentale dei vecchi compagni d’avventura Broken Social Scene. Confrontato alle sapide melodie catchy che facevano dell’osannato album del 2007 uno scintillante prontuario d’intimismo-canzonettaro “Metals” mira a una essenziale neo-classicità che affonda le radici dell’arbusto pop nella limpida tradizione “americana”, e la riveste con il gusto post-modernista come usava il Sufjan Stevens enciclopedico-geografico, intagliandola nei legni stagionati di corde acustiche, aperture corali accompagnate da seducente elettricità-bluesy, fascinosi esercizi art-pop e fiati che spuntano qua e là epici fra cinematografiche cornici orchestrali (ecco a cosa allude il titolo, “metalli”). In questa dozzina di manufatti d’alto artigianato alt-country c’è un approfondito e raffinato cesello di scrittura, scandito con pregevole cura sotto la supervisione del producer islandese Valgeir Sigurosson, di Brian LeBarton e dei consueti collaboratori Mocky e Chilly Gonzales negli studi della turistica Big Sur e a Toronto, sono acquerelli delicati che scaldano languidi nel freddo buio invernale come la cara, affettuosa, inseparabile coperta di Linus. Forse è già una ragione sufficiente per promuovere a pieni voti “Metals” e la piccola-grande donna che l’ha concepito. L’inconfondibile “F” di Feist colpisce ancora, e guarda all’orizzonte folk-rock con rinnovata ambizione e caparbietà made in Canada. “…Cold outside, warm by the fire…Get it wrong…Get it right…”

 

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Voto degli utenti: 6,9/10 in media su 8 voti.
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Teo 7/10
target 7/10
creep 8/10
rael 6/10
REBBY 7/10
Dengler 5,5/10

C Commenti

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salvatore (ha votato 8 questo disco) alle 11:34 del 29 dicembre 2011 ha scritto:

Gran bel disco! Il più coraggioso della sua carriera e forse il più bello, quello che necessita di più ascolti per essere apprezzato, ma che li ripaga abbondantemente. Coeso, solido ed estremamente piacevole: Perfetta sintesi pop folk e rock!

Non c'è che dire: le signorine (Friedberger, Joan as a police woman, St vicent, Harvey, My brightest diamond, Laura Marling, la stessa Feist...) hanno realizzato dei signori album. Nel 2011 il "cantautorato" è donna!

Bella la recensione! Una sola cosa, però, Daniele: ma la tracklist è giusta? La mia è lievemente differente... 1."The Bad in Each Other", 2."Graveyard", 3."Caught a Long Wind", 4."How Come You Never Go There", 5."A Commotion", 6."The Circle Married the Line", 7."Bittersweet Melodies", 8. "Anti-Pioneer", 9."Undiscovered First", 10."Cicadas and Gulls"

11."Comfort Me", 12."Get It Wrong, Get It Right". Qui non vedo nemmeno The circle married the line che è una delle mie preferite (se non la mia preferita)...

Orribile il video di "How come you never go there" :/

target (ha votato 7 questo disco) alle 17:42 del 2 gennaio 2012 ha scritto:

Questa è brava. Nel genere, e nella lista al femminile proposta da Salvo, con Giovanna Come Donna Poliziotto, la mia preferita.

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 9:17 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Una conferma, dopo l'ottimo The reminder: Feist è una delle cantautrici contemporanee più interessanti. A commotion e The bad in each other le mie preferite, ma è tutto il disco, nel complesso, a convincere. Alla lista delle più meritevoli dello scorso anno proposta qui sotto da Salvo, secondo me, manca almeno la "vecchia" Kate Bush (ma l'album è uscito sul finire dell'annata e forse non l'aveva ancora ascoltato) e The deep field di Joan as a police woman è il mio favorito.

salvatore (ha votato 8 questo disco) alle 11:31 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Confesso di non averlo ancora ascoltato quello della Bush (anzi, quello di Kate Bush, ché leggere solo Bush mi fa venire i crampi...) Rimedierò, promesso!

rael (ha votato 6 questo disco) alle 11:43 del 19 marzo 2012 ha scritto:

questo disco dopo un paio di settimane l'ho mollato (idem bush)!

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 11:58 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Oh se succede anche a me sto fatto, Rael. Forse anche per l'enorme mole di uscite spesso non si ha pazienza. E forse è la mia mania di ricercare brani per i miei cd misti per l'auto a farmi riprendere in mano molti album, ma che oggi spesso imperi l'ascolta e fuggi è ormai risaputo. Non dico siano capolavori, sia chiaro (traduciamo in voto: 7), ma sono dei buoni album per chi apprezza il genere. Ma tu l'apprezzi Rael?

rael (ha votato 6 questo disco) alle 16:19 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Ciao Rebby, io appena uscito il disco avrei dato 7, oggi non più di 6, ha i suoi difetti: melodie poco ficcanti, si trastulla sugli allori della classe cristallina della ragazza e basta. Sì so bene che oggi l'ascolto mordi e fuggi è imperante, ma non è un particolare da prendere sottogamba Rebby, perchè succede questo? Perchè in realtà (alcuni) dischi non ci piacciono sino in fondo. Tu perchè fai compilation? Sei un commesso viaggiatore e fai Crotone - Varese in macchina tutti i giorni? Non credo, è solo perchè un determinato tipo di dischi ti rompe le balle dall'inizio alla fine! E ti pare poco? Un saluto_'

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 19:00 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Ciao Rael, ma no le miste le faccio per altri motivi e dentro ci sono sempre vari brani anche dagli album che più mi piacciono. Il discorso del mordi e fuggi imperante è un tantino complesso e non dipende dal fatto che le nuove generazioni valgan meno di quelle vecchie, ma da tanti motivi tra cui oltre alla difficoltà a star dietro a tutte le nuove uscite, anche dalla relativa facilità ed economicità degli approvvigionamenti (che non ci si affeziona agli album come quando si cacciano tanti soldini), dalla durata eccessiva (una volta, dopo i primi ascolti, si ascoltava sovente una facciata, 15/18 minuti, per disco, ora i CD durano talvolta anche più di un ora) che comporta la proposta di brani che una volta sarebbero stati buoni solo per future bonus-track (spesso deludenti anche quelle che ho ascoltato di album storici eh), da produzioni poco accurate, da aspetti feticistici e .... tanto altro. Tornando all'album in questione, ho già detto per me buono nel complesso, ma se l'avessi in vinile certo avrei ascoltato di più la prima facciata eheh.