R Recensione

7/10

LE-LI

My Life On A Pear Tree

Lei, Leli, con un passato nel mondo del rock e studi classici (due diplomi, contrabbasso al conservatorio classico e sitar al conservatorio di musica indiana), multi strumentista, dotata di una voce delicata. Lui, John, già suo compagno nei Hunzikers, a sua volta multistrumentista e seconda voce, conosciuto al DAMS. Insieme costituiscono il progetto LE-LI.

Progetto all'esordio con questo disco davvero interessante, in cui si raccontano le avventure di Le-Li, in una sorta di mondo fiabesco, a metà strada tra realtà e fantasia, dove una bambina, forse cresciuta troppo in fretta, fa i conti con il suo essere donna (e i rapporti con il mondo dei maschi che ne conseguono) che vorrebbe rimanere ancora bambina.

Attorno al duo ruota uno stuolo di musicisti già al servizio delle più interessanti realtà del mondo rock indipendente italiano, da Marcello Petruzzi (33 ore) a Valerio Canè (Mariposa), da Nicola Manzan (Bologna Violenta, Teatro degli Orrori) ad Alessandro Grazian (co-autore di quattro brani), fino alla produzione affidata alle mani di Matteo Romagnoli (4 fiori per zoe).

Il disco si apre con “Junk Girl”, quasi una filastrocca per bambini che nasconde un testo molto “adulto”, l'incontro della junk girl con il ragazzo della sua vita, il garbage man. Perché 'life is not easy', ma prima o poi incontri sempre l'uomo che apprezza i tuoi difetti. Acustica, cantata in inglese, con corde pizzicate, aperture di violini, campanelli. Ottima.

Sempre cantate in inglese, spiccano “In the Backyard”, una grande pop song dotata di una splendida melodia, ancora giocata su archi, piano e chitarra, “17th June”, un lento che ricorda i migliori Sophia e i Walkabout, con in sottofondo la struggente 'voce' del theremin, “Julia”, cantata quasi sottovoce, dove troviamo ancora un grande accompagnamento di archi, e la conclusiva “Which Way”, il cui intro di sitar ricorda inevitabilmente i primi esperimenti con la musica tradizionale indiana di George Harrison.

Altrove Leli si traveste da Charlotte Gainsbourg cantando in francese. Lo fa in “Mon Amour”, con tanto di fisarmonica, e in “Chat Noir”, un vero gioiello, forse il miglior brano del disco, dove troviamo ancora il theremin su un tappeto di sax e rullante.

Non male anche i brani cantati in italiano, con il gioco a due voci maschile / femminile in “Cenere Sul Tavolo” (molto Cave / Lane), dal ritmo ipnotico e avvolgente, e in “Anyone Else But You”, in cui le due voci si alternano in una delicata pop song.

C'è spazio anche per due cover, tra cui spicca la celebre “Lithium” dei Nirvana, qui trasfigurata in una canzoncina pop, quasi allegra, da fischiettare, con un bel violino e il tocco delicato del piano in chiusura.

Ottimi anche i testi, che nella loro semplicità nascondono pensieri profondi e molta ironia (“Bimba” e “Lullaby” ne sono un esempio).

Un disco delicato, dove predominano suoni anni '60 e strumenti inconsueti. Un piccolo gioiello di folk pop italiano.

 

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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