Queen
The Miracle
E questa lultima e probabilmente migliore uscita dei Queen degli anni ottanta se la gioca giusto con quel The Game uscito ben nove anni prima, per il resto quel decennio fu assai avaro di buone cose da parte loro.
La linea strategica del gruppo prevedeva al tempo di soprassedere ai problemi del frontman Mercury con lAIDS ad eccezione dellinterruzione dellattività dal vivo, sopraggiunta sin dal 1986: chiaramente un non senso per un esibizionista estremo come lui e quindi un chiaro segnale per chiunque volesse tenere gli occhi aperti. Mercury perde quindi, lentamente ed inesorabilmente, di peso e salute, ma voce e personalità dominanti sono ancora in piena operatività, almeno in studio (e così sarà sino alla fine dei suoi giorni). Anche questo disco dimostra che il buon Freddie non era solo dentoni e glamour, canottiere e pose tracotanti: la sua abilità nellorganizzare le stratificazioni dei cori, la capacità di svariare, e di molto, dallispirazione sostanzialmente hard rock dei compagni aggiungendo componenti progressive, glam, disco, gospel e operistiche innervano le musiche di questalbum.
Accostarsi allestro dei Queen vuol dire anche mettere in conto una certa dose di pacchianeria, ben rappresentata in questo caso dalla copertina, un fotomontaggio di nessuna eleganza, ma in campo musicale stavolta non vi sono vere e proprie nefandezze da digerire come era invece successo nelle uscite subito precedenti; certo non mancano i riempitivi, come del resto nella maggior parte degli album di chiunque.
Il disco inizia sparando subito buona parte delle cartucce hard rock con la coppia Party e Kashoggis Ship, belle asciutte e potenti. Nel prologo della prima Mercury dispiega il proprio prezioso talento di armonizzatore vocale, pilotando se stesso e i compagni in un coro quasi a cappella, giocato su settime e none dalta scuola, più in là imitato da Brian May che prende a stratificare similmente chitarre su chitarre, allunisono oppure a botta e risposta. Limmediatamente successiva evocazione del panfilo del miliardario arabo offre invece una situazione alla Ac-Dc, ovvero riffone sincopato e rabbiosa interpretazione di Freddie sul metronomico, ottuso incedere della batteria di Roger Taylor.
Fin qui lalbum è tutto basso chitarra e batteria, quasi ad annunciare una radicalizzazione dei Queen verso il rock pesante ed asciutto ma ci pensa la terza traccia, quella che intitola tutto il lavoro, a reinserire la musica nei più consueti binari del pop rock sontuoso e decorato. Capolavoro del disco, The Miracle rappresenta il meglio del modo di fare musica di Farrock Bulsara da Zanzibar, in arte Freddie Mercury. Da lui composta ed eseguita sul Korg M1, sintetizzatore di assoluto riferimento al tempo e qui impiegato nei suoi impagabili registri orchestrali e darpa, la canzone è un miracoloso equilibrio fra loperistico, il pomposo, lelegante e lestetizzante. Le progressioni tonali para sinfoniche che sostengono il cantato, di argomento pacifista, vengono squarciate dalle caratteristiche ma sempre sorprendenti aperture armoniche a quattro, otto voci. Pure il video associato a questa perla di repertorio fece epoca, coi musicisti ad affiancare solo allultima strofa i quattro bambini acconciati a loro immagine e somiglianza e fin lì protagonisti del set.
Come spesso succede coi Queen, quando ad ispirazione dei pezzi non cè Mercury questi assumono un aspetto assai più ordinario: succede sia per I Want It All un hard rock telefonato di May, che per Invisible Man un groove disco del batterista Taylor preso molto a cuore da John Deacon che domina il panorama sonoro col suo convinto ostinato di basso, che ancora per Breakthru di nuovo del batterista, ricordato da molti per il suo video che mostrava il quartetto eseguirlo in playback mentre viaggiava sopra il vagone scoperto di un treno in piena campagna inglese.
Il disco fatica a riprendere quota e tornare alla qualità dellinizio: non ci riesce sicuramente il riempitivo Rain Must Fall di Deacon; più efficace (e vissuta ) la successiva Scandal, dedicata da May alle sue strombazzatissime vicende fra moglie ed amante, allepoca oggetto di sterminato gossip giornalistico in Gran Bretagna. La chiusura è affidata a una buona canzone di Mercury Was It All Worth It, intricata anzichenò sin dal titolo.
La scaletta del ciddì è incrementata da un ulteriore terzetto di tracce: niente male la prima Hang On In There, col prezioso suono della chitarra elettrica di Brian May a dare soddisfazione e spunto ai chitarristi, mentre Chinese Torture è uno strumentale breve, cupo ed insignificante e la ripresa di Invisible Man in versione ancor più da discoteca con i tipici, odiosi editaggi digitali e relative aggiunte di echi ed effetti vari, del tutto superflua.
Queen è stato un gruppo dalle molte sfaccettature, alcune geniali e peculiari, altre eccessive e di cattivo gusto; quattro musicisti molto diversi ma coesi, che si sono apprezzati e voluti bene per lungo tempo, riuscendo a far fronte comune delle loro abilità, lacune, estrosità e pacchianerie. Il loro lascito artistico, al di là della notorietà planetaria, reca unindubbia fortissima personalità dovuta quasi tutta alla particolare musicalità del loro frontman, ma alimenta pure una folta falange di avversatori, quelli che hanno sempre vissuto la loro arte come del tutto sopravvalutata, sostanzialmente volgare, decisamente insopportabile.
Personalmente non sono mai stati fra i miei preferiti, ma neanche fonte di astiosa condanna: ho volentieri assorbito da essi il meglio (rappresentato in questo disco da The Miracle la canzone), trascurato lordinario e cercato dignorare il tanto peggio da loro messo insieme.
Tweet