Binker & Moses
Alive In The East?
Vivere oggi a Londra, da appassionati di linguaggi jazz contemporanei, deve rassomigliare molto al paradiso sostanziato in terra, qualsiasi cosa possa voler dire: trovarsi accoccolati nellocchio di un tornado, con una vista privilegiata e ravvicinatissima sulla tempesta che infuria. Deve pur vivere di vita propria, la black music dei nostri tempi, respirare, scalciare, dimenarsi: essere catturata sì, ma solo per un istante, e solo come testimonianza di un unicum definito in uno spaziotempo che muta radicalmente una frazione di secondo dopo essere stato fissato su nastro. Fedeli alla loro etica live oriented del buona la prima (e che sia buona davvero), Binker Golding e Moses Boyd abbattono lultimo paletto formale loro rimasto e, con il terzo disco in quattro anni, a dodici mesi scarsi dallacclamatissimo doppio Journey To The Mountain Of Forever, pagano il definitivo omaggio alla tradizione: un set dal vivo del giugno 2017 al Total Refreshment Center dellEast londinese, interamente composto da improvvisazioni inedite e abbozzi di brani non ancora passati dallo studio.
Il risultato può definirsi esaltante, e certo non solo per la pulizia sonora né per lesibizione tecnica che, nella scrittura del duo, è sempre e solo funzionale alla struttura del pezzo. Assoluto mattatore Boyd che, anche grazie allapporto del super ospite Yussef Dayes (ex Yussef Kamaal), si ritaglia da protagonista un ampissimo spazio dietro le pelli: tribalismi su poliritmi nelliniziale passerella The Birth Of Light, unesplosione nucleare afro nella prima ottundente metà di How Fire Was Made, poi ancora una lenta ed elaborata crescita a reticolo che si dirama lungo due minuti e mezzo di Beyond The Edge (un intenso acid spiritual dai riflessi cosmici, accarezzato dallarpa di Tori Handsley). Proprio larpa, inconsueto asso nella manica di svariate formazioni jazz degli ultimi anni (tra le più recenti, i Maisha), commenta con fondamentale discrezione le invenzioni strumentali della formazione allargata: da una sua minimale cellula melodica si sganciano, ad esempio, la tromba bop di Byron Wallen in The Rivers Tale (poi spentasi in un curioso e leggermente anticlimatico tramestio free) o il sanguinoso intreccio di fiati di Mishkakus Tale (con una sezione centrale di gamelan paradisiaco), per non parlare delle candide armonie conclusive di The Death Of Light (appena scalfite da ottoni davisiani). È infine nelle jam più lunghe che le anime dei musicisti allopera, come per magia, si fondono alla perfezione, senza alcun bisogno di un copione prestabilito: i fraseggi del sax di Golding in Children Of The Ultra Blacks si modulano su un metronomico 4/4 hip hop calibrato con sapienza orchestrale, mentre How Land Learnt To Be Still fluttua con insperata sobrietà tra Coleman e black analogica.
Se siete amanti di Binker & Moses, loro detrattori o sommamente indifferenti, questo è comunque un disco da avere. Nel primo caso alimenterà gli entusiasmi. Nel secondo, come tizzone su paglia secca, li farà divampare. Nel terzo, aiuterà a far comprendere una verità assoluta: in tempi così oscuri, lera degli ignavi è giunta al termine.
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