Lloyd Miller & The Heliocentrics
Lloyd Miller & The Heliocentrics
Ci sarebbe da vergognarsi. Facciamo schifo. Neanche un cestino per Natale gli abbiamo mandato, a questi della Strut Records. Mentre loro, magnanimi ed operosi come non mai, hanno confezionato una serie di strenne pazzesca, opportunamente disseminate lungo i dodici mesi che hanno composto l’anno appena terminato. Così, a memoria: i tre volumi “Next stop…Soweto”, il bellissimo primo volume “Afro Rock”, gli afrobeaters The Souljazz Orchestra, il ritorno a sorpresa di Ebo Taylor e quello annunciato di Mulatu Astatke. Come se non bastasse – e mentre rivelano per il 2011 il ritorno sulle scene dopo vent’anni di assenza (!) dell’ Orchestre Poly-Rythmo de Cotonou – ecco l’ennesimo colpo di scena: gli Heliocentrics.
La band di Malcolm Catto, forte di una credibilità ormai consolidata, prova a dare un degno seguito a quel “Inspiration Information 3” che aveva definitivamente lanciato la loro carriera e “scoperto” il fenomeno Mulatu Astatke. Il prescelto (ma è difficile dire chi scelga chi) questa volta è Lloyd Miller, anche lui - come Mulatu – jazzista di lungo corso dai connotati fortemente “etnici”.
Poco sconosciuto dalle nostre parti, Miller – Americano di nascita ma Iraniano d'adozione – è infatti (dedicato a quanti si sono laureati in ingegneria per avere il lavoro sicuro, nda) Dottore in Etnomusicologia. Trasferitosi in Iran per preparare la Tesi di Laurea (titolo: “Music and Song in Persia”!) non è più tornato, dedicando la vita allo studio della musica jazz e folk iraniana ed orientale in genere.
Le iniezioni elettriche degli Heliocentrics si spostano quindi da un ambiente puramente jazz quale era quello di Mulatu Astatke, ad un luogo spirituale ed evanescente, meno muscolare ma ugualmente carico di intensità e fascino. Dai richiami ancestrali di “Electricone” al tramonto tiepido di “Sunda Sunset”, il connubio tra le moderne vibrazioni degli Heliocentrics e gli antichi ricami del flauto (o del clarinetto, o del pianoforte, o di chissà cos'altro, dato che Dr Miller suona qualunque cosa gli passi per le mani, nda) di Miller creano una coltre di fumo impenetrabile e magica, all'interno della quale l'unico approccio possibile è l'abbandono dei riferimenti terreni in favore di un’ esperienza puramente emotiva.
Ancora “Inspiration Information” quindi, e ancora una volta il lavoro degli Heliocentrics brilla laddove riescono ad imporre il loro modus prediletto, fatto di ritmi incalzanti e felpati (“Nava”), stoppati e ripresi (“Rain Dance”), “spazzolati” ed eleganti (“Modality”). Le capacità di Malcolm Catto poi, sono semplicemente infinite: vi basti, nel mucchio, la prova di forza (tecnica) durante lo spoken word imbizzarrito “Lloyd lets loose”.
Altrove la cultura mediorientale di Dr Lloyd Miller prevale nelle sue forme più spirituali ed eteree: prima fra tutte la riedizione del suo classico “Massom” trasformato in “Spirit Jazz”, ma anche le atmosfere cinematografiche dominate dagli intrecci piano-flauto di “Pari Ruu” e la rivisitazione di strumentazioni e scale musicali orientali (“Salendro” è una variazione del gamelan indonesiano, “Bali Bronze” di quello balinese).
Ennesimo disco dal fascino immenso e dalle qualità inconfutabili, forse non perfettamente all’altezza dei suoi predecessori, vuoi per l’inferiore livello di compenetrazione raggiunto dai due attori principali (ma il mondo sonoro di Miller è veramente lontano anni luce da qualsivoglia forma musicale occidentale), vuoi (probabilmente) per una mera questione di gusti personali. Ma questo non incide in alcun modo sul nostro crescente debito nei confronti della Strut Records.
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