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R Recensione

7/10

Georgia Anne Muldrow

Seeds

Di “semi”, Georgia Anne Muldrow, ne ha piantati davvero tanti nell’ultimo decennio e, a tratti, la fioritura s’è rivelata a dir poco rigogliosa, sebbene il raccolto tardasse ad arrivare o fosse meno abbondante del previsto. Certo soldi, visibilità e successo non sono tutto nella vita, ma per chi fa musica ad alti livelli spesso rappresentano quel surplus che serve per farsi conoscere ed apprezzare.

Per fortuna, nel caso della Muldrow, questo suo rimanere un pochino in ombra, defilata rispetto ad altri musicisti coevi o della stessa estrazione, non ha mai inciso negativamente sulla qualità dei propri lavori. Vuoi per la somiglianza vocale e musicale (ma meno appariscente) con sua maestà Erykah Badu (le due hanno anche collaborato, e con esiti eccellenti, in “New Amerykah Part 1”), somiglianza che non deriva da una mancanza di originalità ma da una comune militanza in quella grande fucina di talenti che è la scuola dei The Roots e dei Solquarians (D’Angelo, Mos Def, Common, Raphael Saddiq, J Dilla), vuoi per l’ampio respiro e le scelte in controtendenza rispetto a suoni più chiacchierati e commerciali. Scelte che nel complesso l’artista losangelina ribadisce anche nel suo ultimo lavoro intitolato, appunto, “Seeds”, affiancata alla produzione da un mostro sacro come Madlib, l’alfiere per eccellenza dell’hip-hop e del nu soul più alternativo e costruttivista che attinge al grande patrimonio della musica nera degli anni 70, periodo forse ineguagliabile per vastità di contaminazioni e ricerca sonora.

Una produzione, peraltro, meno invasiva di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, intelligente nel giocare per sottrazione con beat felpati, scratch vintage e sample ben incastonati in una struttura essenzialmente analogica e strumentale. Un Madlib, dunque, al completo servizio dell’inconfondibile ed elegantissima scrittura della Muldrow, o meglio perfettamente sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda. L’opener e title-track ne è il brano manifesto e illustra efficacemente il senso profondo della loro collaborazione: un funk “progressivo” in stile 70s ma aggiornato ai tempi - ovvero meno basato sull’improvvisazione e più calibrato - che gronda rimandi a Sly e Curtis Mayfield e blaxploitation e ce la mette davvero tutta per reggere il confronto, grazie anche ad una performance spettacolare di Georgia, grintosa e arrabbiata come poche volte l’abbiamo ascoltata. Decisamente più smooth e soul è invece “Wind”, morbida e sensuale, che ci mostra il cotè più “baduiano” del suo sound, un parallelismo che si estende anche a “Calabash”, fortemente caratterizzata da accenti afroidi e scat e alla bellissima “The Birth Of Petey Wheeler”, sorta di moderno quietstorm, sinuoso, sussurrato, confidenziale, che esplicita anche la dimensione di impegno sociale ed estetico attorno a cui ruota l’album, con la dedica all’eponimo artista visivo neozelandese (e berlinese d’azione). L’affresco sonoro si conferma ambizioso anche nel neo-soul dall’humus etnico e mistico di “Kali Yuga”, nel contrasto fra la melodia sontuosa e corale e il groove scandito e minimale di “Husfriend” e nella conclusiva “The Few”, un funk-rap tirato e sferzante condiviso con il compagno di vita e di musica (in passato la coppia ha formato un duo chiamato D & G, giocando sulle rispettive iniziali) Dudley Perkins alias Declaime.

Uno dei migliori dischi soul e dintorni del 2012, a giudizio di chi scrive, e una meritata vetrina per il talento, ormai riconosciuto, della Muldrow.

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