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R Recensione

8/10

Soulsavers

The Light the Dead See

I can feel the presence of god”  questa è la frase iniziale con cui Dave Gahan intona uno tra i più bei pezzi dell’album dei Soulsavers. La voce flebile adagiata su un arpeggio ermetico in tre quarti è quella di sempre, mutata solo dal tempo e dalla raffigurazione più intima che il personaggio assume all’interno di questo progetto. Ai tempi di Hourglass sbatté la sua miscredenza in faccia agli ascoltatori quando su Mircales confessava di non credere in Gesù ma di pregare comunque un’entità senza nome né volto. La redenzione è avvenuta probabilmente dopo il cancro diagnosticato nel 2009, ma non solo. Si è evoluto il suo nucleo familiare scalzando la figura dell’eterno tossico dei primi anni’90 e spazzando via quell’aura di misantropia che lo rendeva così affascinante. Tutti cresciamo prima o poi e maturiamo quel bisogno impellente di percepire anche solo una tiepida fiamma del calore familiare, ci ritroviamo ad osservare ciò che abbiamo costruito e non farsi trovare impreparati aiuta ad affrontare il futuro.

Rich Machin and Ian Glover, abituati a eclettiche collaborazioni con grandi personalità artistiche, hanno interpretato le priorità di Gahan conducendolo nei meandri di un mondo nuovo, marchiato sporadicamente dagli inevitabili richiami del suo passato. Quella calzata in The Light the Dead See non è una maschera di circostanza, assomiglia di più ad una seconda pelle, uno sfavillante tessuto cellulare in cui si è incarnato. Perso tra le polverose strade sterrate, canta struggenti melodie che cingono in un caldo abbraccio le armonie incantate di una chitarra acustica. Niente beat elettronici, nessuna pulsazione spaziale mista a acidi filtri vocali dissuade l’ascoltatore. Solo la semplicità di ciò che sembra materia inarrivabile. Come se fosse l’esigenza di una vita persa tra i troppi eccessi. Come se fosse la confessione intima di un cambio di direzione.  Il viaggio verso la linea d’orizzonte, verso mondi diversi in cui quella massa cellulare che è seconda pelle deve adeguarsi velocemente, cercando di non far emergere mai la materia sottostante. Da questa mutazione nascono le inverosimili ambientazioni spaghetti Western di Longest day, in un immaginario deserto arido o nelle sordide sale di un Saloon.

Trascinato dalle orchestrazioni dei Soulsavers, Gahan vola lontano in territori soul (Gone too far) vestito da novello Joe Cocker ad affrontare acuti che in carriera sua mai aveva osato, acuti graffiati che raccontano un passato di dolore rievocato dalle poche ed incisive frasi (Now you can feelin / life can be cruel). Giusto il tempo per leccarsi le ferite con uno splendido intermezzo d’archi (Point sur Pt.1) e il paesaggio tramuta le sue tinte cinematografiche in un giallo sbiadito anni 60, dove una dolce preghiera per implorare un romantico perdono (Take me back home) assume, sul finale, i contorni caratteristici dei contrappunti Gospel. Ma il gioiello più rifulgente rimane la già citata Presence of God, rivisitazione in chiave minimale dei Depeche Mode d’annata, una sorta di Walking in my shoes sradicata dalle sue origini pop e rimodellata a nuove esigenze orchestrali. The light the dead see non è materia innovativa, non vuole esserlo. Ricorda più un incontro fraterno di tre artisti che mischiano le proprie sensazioni in una simbiosi di immagini e suoni che hanno la dolcezza della semplicità.

V Voti

Voto degli utenti: 6,4/10 in media su 4 voti.
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REBBY 6/10
ethereal 5,5/10

C Commenti

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benoitbrisefer (ha votato 8 questo disco) alle 1:28 del 4 luglio 2012 ha scritto:

Splendido disco. Emozionante e inaspettato. Recensione totalmente condivisibile.

tramblogy alle 8:50 del 4 luglio 2012 ha scritto:

Mha?!voto dato improbabile....

Leonardo Geronzi, autore, alle 12:36 del 4 luglio 2012 ha scritto:

Perchè mai dovrebbe essere un voto improbabile? Il voto deve rispecchiare i gusti soggettivi del recensore il quale, ovviamente, ha comunque il dovere di rimanere il più obiettivo possibile nel valutare. Proprio questa soggettività ti porta a non accettare il voto che io ho dato ma allo stesso tempo a spiegarne anche le motivazioni. Io ho un'idea: vista la scomodità del personaggio coinvolto e la tendenza a voler sempre denigrare tutto ciò che non è innovazione, non vorrei che la tua critica fosse un tantino tendenziosa. Come ho già scritto il disco è bello perchè è semplice, funziona perchè tra i tre c'è un rapporto saldo, funziona perchè le melodie sono belle e si sposano alla perfezione con le armonie; il tutto è condito da ottimi arrangiamenti. Certo, non è l'hypnagogic pop che va tanto di moda adesso, ma ad essere obiettivi non si può dire che sia un disco brutto.

tramblogy alle 14:03 del 4 luglio 2012 ha scritto:

Pochezza solista di gahan spero che rimanga in questo gruppetto per sempre...verra il giorno in cui Gore lo manderà a 'fanciullo' col cuore! E io potrò festeggiare....un otto non e' un voto obiettivo.

Leonardo Geronzi, autore, alle 14:25 del 4 luglio 2012 ha scritto:

Come volevasi dimostrare. Ti esprimi con odio nei confronti di Gahan confermando la mia tesi. La tua è una non non-obiettività che si riscontra palesemente nell'odio che esprimi nei confronti di Gahan e dei Soulsavers, che denigri chiamandolo gruppetto. Dalla mia posso solo dire che il voto è, per me, obiettivo e rappresenta le emozioni che questo disco mi ha dato, emozioni forti, vere, di quelle che ti infondono positività. Tra l'altro te lo dice uno che i Depeche mode li ha sempre ascoltati con la testa sulle spalle senza avventurarsi in sterili lodi sperticate, a differenza del Gahan solista che in Paper Monster mi ha totalmente deluso mentre su Hourglass mi ha convinto solo in alcuni episodi come nella sopraccitata Miracles.

tramblogy alle 14:46 del 4 luglio 2012 ha scritto:

Non scherzare....i miracoli non esistono, e gahan e' solo un sopravvissuto

Leonardo Geronzi, autore, alle 9:51 del 5 luglio 2012 ha scritto:

Non scherzo affatto, ce ne fossero di sopravvissuti così, il problema è che più che di sopravvissuti il mercato musicale è pieno di paraculi......

bonnell (ha votato 6 questo disco) alle 10:28 del 5 luglio 2012 ha scritto:

In effetti è difficile andare oltre una sufficienza tirata per i capelli! La semplicità è uno dei migliori pregi, ma se mancano gli sprazzi di illuminazione melodica o di arrangiamento, il castello crolla o si regge in piedi con lo sputo.

tramblogy alle 20:46 del 5 luglio 2012 ha scritto:

Quando dico una cosa e' quella e non esiste teoria o ipotesi o discussioni ulteriori possibili...paraculo poi e' proprio il termine preciso per identificare il ganzo in questione, che tengo a precisare che non odio, ma preferisco i ranghi, ognuno nei propri...lui canta, Gore scrive e i recensori votano obiettivamente. Leo non ti arrabbiare. Ghghghhhhhhhhh

Leonardo Geronzi, autore, alle 10:22 del 6 luglio 2012 ha scritto:

Non mi arrabbio no, figurati!

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 9:53 del 7 settembre 2012 ha scritto:

Parte bene (alla Morricone eheh). In the morning (ma perchè mi viene in mente In the court of Crimson King !?) è il mio brano preferito. Non male anche Take me back home. Album effettivamente "a tinte cinematografiche", ma nel mio caso, a parte i pezzi citati, poco emozionante.