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R Recensione

8/10

Cold Cave

Cherish The Light Years

Molti aficionados della prima ora sono concordi: Wesley Eisold ha, per usare un eufemismo, perso smalto. D’altronde, rivelare affinità di spirito con Pulp e Suede non può che preludere a uno stizzito “bye bye” dei fan più intransigenti, già messi a dura prova dalla coldwave prodiga di aperture "neworderiane" ascoltata su "Love Comes Close" (2009). Ma il dark boy originario di Boston – ora domiciliato a Manhattan dopo aver girato a zonzo per gli States al seguito, fra i tanti, di American Nightmare, Give Up The Ghost, Some Girls e XO Skeletons –  ha tenuto botta come meglio non si poteva, prefissandosi un obiettivo che definire ambizioso è poco: “Band come Pulp, Suede e Smiths hanno creato un mondo tutto loro. Non ho idea se quel mondo sia esistito o meno, ma visto da una prospettiva esterna sembrava incredibilmente reale. Anch’io ho voluto creare un mondo mio, che comprendesse i miei amici e lo stile di vita che conosco”.

Se è la norma imbattersi in musicisti britannici capaci (o “rei”, a seconda dei punti di vista) di trapiantare in patria sonorità americane, mutarle in ragione del diverso contesto e sovente esportarle, con fattezze inedite, di nuovo negli States, qui il processo è (parzialmente) inverso. Imbevuto di sound & style propri della wave inglese, Eisold prova ad adattarli ad una realtà – la sua – a stelle e strisce, riesumando sia la chitarra-feticcio del rabbioso passato hardcore punk, per quanto epurata dagli eccessi “shittosi” di "Cremations", sia l’abbecedario per testi emocore, nelle cui pagine è chiaramente esplicitato il disagio adolescenziale vezzeggiato dalle frange post-Husker Du (“The empathy of breaking chains/ The sympathy in crashing waves/Careful boy, caution girl/I do not think we were meant for this world” da “The Great Pan Is Dead”). Ecco perché quella di “incidere un album profondamente americano” non può e non deve essere interpretata come un’uscita sarcastica; a meno che non ci si aspettasse una svolta country’n’western, questo è chiaro. Il fine è quello di trascendere i limiti dell’esperienza, coltivare non tanto la visione di un’America inglesizzata, quanto di una scenografia “alternativa” nella quale ricollocare l’asse Londra – Manchester: fiore dal fascino alquanto esotico per un teenager – lo stesso Eisold da pupetto – sballottato da un angolo all’altro degli States.

Su "Cherish The Light Years" trionfa una dark-wave granitica, dalle fitte nervature synth-pop e industrial, tatticamente su misura per la “emo-generation”. Un dolcefinto svenarsi a tinte fosche e lamette di cioccolata, con pantalone skinny macchiato di cerone goth. Pop in quanto inno, catarsi abilmente preordinata (come tutto il rock’n’roll). Pop infarcito di tagliente malinconia, desolatamente estroverso. Il sound è quello “pieno” di una band: Dominick Fernow (elettronica) e Jennifer Clavin (seconda voce e synth), più numerosi imput di conoscenze newyorkesi e non (da menzionare almeno Daryl Palumbo e Matt Sweeney). Sound tosto, nonostante il curriculum per buona parte agghiacciante del co-produttore Chris Coady (TV On The Radio e Beach House fra i salvabili). Un sound caratterizzato da compressione e frequenze medie a palla: coriaceo, potente ma attento alle sfumature, non banalmente “boombastic” come taluni vorrebbero far credere.

L’impatto è travolgente fin dalla galoppata iniziale, il singolo “The Great Pan Is Dead”, col suo ritmo a singhiozzo, il muro di chitarre alla Ministry e i synth ora frigoriferi, ora ciliegie candite; si aggiunga, in ultimo, il canto enfatico di Eisold, impetuoso come mai prima d’ora, et voilà! La “Common People” dei Cold Cave è servita. Ma siamo solo all’inizio. Tempo mezzo secondo ed ecco sfilare un trittico sublime: la girandola vorticosa (ma sfiorita) di “Pacing Around The Church”; la meraviglia mid-tempo di “Confetti”, con tanto di sei corde alla “Violator”; il saltellare vagamente “smithsiano” di “Catacombs”. Con “Underworld USA” sfrecciamo decisi nel tunnel NIN, ma in prossimità del ritornello c’imbattiamo nientemeno che negli Afghan Whigs di “Double Day”. Ancor più pronunciato il retrogusto EBM di “Icons Of Summer”, laddove “Black Sage” resta saggio industrial che Eisold ha perfezionato al doposcuola di Genesis P-Orridge. La tesi di “Alchemy Around You” è dimostrare che una scheggia post-punk alla “Ceremony” possa accompagnarsi a fanfare di trombone senza rievocare “herculeggiate” di sorta (e ci riesce: il paragone più prossimo resta il pop da Stregatto dei Teardrop Explodes). La chiosa di “Villains Of The Moon”, infine, è semplicemente perfetta: solenne ma dinamica, riesce nel duplice intento di accompagnarci all’uscita e, intanto, pugnalarci al cuore con un ritornello (l’ennesimo) da mandare a memoria.

Chi pensa, insomma, che “Cherish The Light Years” sia un pasto monoporzione resterà sorpreso (o deluso, se il fine era spernacchiare l’ennesima proposta legata agli ‘80s): qui c’è antipasto, primo, secondo, dolce, caffè, ammazzacaffè e sollazzo pomeridiano. Tradotto: compattezza stilistica, personalità, e una sequenza di canzoni a dir poco impressionante. Canzoni dalle quali si palesa un’idea di pop rock capace di parlare a più bacini d’utenza, senza per questo ridursi a compromesso di facciata; capace, soprattutto, di abbracciare diversi strati di “consistenza”: l’innodia adolescenziale come il flagello nichilista, il ritornello da cantare in “singalong” come le sofisticazioni produttive per i palati più smaliziati. Un’idea di pop rock della cui mancanza ci si lagna a ogni piè sospinto, salvo poi arricciare il naso e accusare di giovanilismo (o peggio, di sterile derivativismo) chiunque s’impegni per raggiungere l’obiettivo. Accuse che, puntuali, pioveranno addosso anche a questo disco. Ma ormai ci abbiamo fatto il callo.

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Voto degli utenti: 6,4/10 in media su 15 voti.
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Cas 8/10
target 7/10
brian 4/10

C Commenti

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Cas (ha votato 8 questo disco) alle 10:09 del 22 aprile 2011 ha scritto:

un altro disco che non sbaglia un colpo, sfoderando uno dopo l'altro 9 pezzi da 90... niente da aggiungere all'ottima analisi, gran disco!

hiperwlt alle 10:30 del 22 aprile 2011 ha scritto:

per ora, ho ascoltato la sola "confetti": non sfigurerebbe in un disco dei new order. il resto ascolterò, e per il momento faccio i complimenti a Loson per lo scritto, ottimo e sempre ricco di spunti.

FeR alle 13:14 del 22 aprile 2011 ha scritto:

accusare di giovanilismo (o peggio, di sterile derivativismo) chiunque s’impegni per raggiungere l’obiettivo. Accuse che, puntuali, pioveranno addosso anche a questo disco. <----- Tranquillo Los, loro sono americani quindi gli è concesso per diritto divino, è l'altra sponda dell'Atlantico che ogni volta che prova a riprendere un suono anni Ottanta viene accusata di questa roba. Il disco non m'è piaciuto, ma questo già lo sapevi

enjolras alle 15:14 del 22 aprile 2011 ha scritto:

Grandissima recensione, daccordo con te su tutta la linea.

il primo disco mi è piaciuto molto non vedo l'ora di ascoltare questo. Sono riuscita a sentire solo un paio di tracce. Complimenti ancora.

loson, autore, alle 16:02 del 22 aprile 2011 ha scritto:

Vi ringrazio. @FeR: eh, lo sapevo che non ti era piaciuto, diavoletto! Sulla "concessione per diritto divino" non posso darti torto, ma già ora il disco sta dispiacendo a molti (anche ex fan). Magari stanno zitti e decidono di non infierire, chissà...

target (ha votato 7 questo disco) alle 16:35 del 22 aprile 2011 ha scritto:

Io, invece, per ora, dico che mi è piaciuto senz'altro di più di "Love comes close", sul quale ero stato e sono tuttora freddino (salvo un paio di bellissimi pezzi). "The great Pan is dead" è un brano clamoroso, pieno di un pathos violento e ruvido che va sopra le righe nella direzione che piace a me, tanto che non stona l'apparentemente blasfemo parallelismo di Los. Anche "Icons of summer" enorme, e comunque, contrariamente al precedente, buonissima qualità media. Los entusiasta è meglio della primavera!

loson, autore, alle 16:53 del 22 aprile 2011 ha scritto:

RE:

"Los entusiasta è meglio della primavera!" ---> Ricreazione artificiale della primavera nella cantina di casa tua, 5.000 euri con mastercard. Un Los entusiasta non ha prezzo.

target (ha votato 7 questo disco) alle 19:00 del 22 aprile 2011 ha scritto:

Eheh, è vero! Quando poi il los-entusiasmo deriva (non è questo il caso) da band canadesi, come ultimamente egli stesso mi ha confessato, è qualcosa di paragonabile solo a remotissime e aliene aurore boreali! ) Los, dimmi: ma quando hai sentito partire le trombe di "Alchemy of you" che t'è successo? io quasi cadevo dalla sedia. Repellenti e spettacolari assieme. Da genietto.

Utente non più registrato alle 13:24 del 23 aprile 2011 ha scritto:

Disco e recensione spettacolari, tra i migliori dell'anno in corso sicuramente.

rdegioann452 (ha votato 6 questo disco) alle 13:01 del 25 aprile 2011 ha scritto:

bah

nulla di che. meglio "love comes close". non sono male, ma il problema è non è tanto che ricordano i cure, ma che assomigliano ai white lies.

underwold usa comunque me gusta assai.

benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 23:42 del 25 aprile 2011 ha scritto:

Bel disco, certo assai diverso dall'oscuro esordio, e necessitante di ascolti ripetuti e attenti, ma che alla fine riesce a dare vari momenti di piacere sonico

loson, autore, alle 10:50 del 26 aprile 2011 ha scritto:

Quando poi il los-entusiasmo deriva (non è questo il caso) da band canadesi...

Però diciamolo sottovoce, Targ, che ho una reputazione da difendere, eheheh... ;DD Più che di entusiasmo, si tratta di una speranza: sogno un plotone di canadian synthpoppers ("malati" ma anche no) capace di mettere nel sacco le ormai insopportabili truppe indie della foglia d'acero. Il fantastico singolo dei Trust mi fà ben sperare, anche se le altre band di cui abbiamo parlato mi sembrano accettabili ma nulla più. Vedremo come evolverà la situazione.

target (ha votato 7 questo disco) alle 12:00 del 26 aprile 2011 ha scritto:

RE: un plotone di canadian synthpoppers

Sarebbe curioso, sì, sentire la via canadese al genere (ho l'impressione che per un electronic Canada conterebbe non poco l'egida dei Crystal Castles...). A proposito di diverse vie al synth pop non citerei, rdegioann, i White Lies, per i Cold Cave. Il patinato inglese qui ne esce scoordinato. E il secondo paragrafo losoniano spiega tutto.

REBBY alle 8:22 del 17 maggio 2011 ha scritto:

Un tuffo in una delle discoteche della mia gioventù (quella di Bologna vicino alle 2 torri). 9 pezzi da ottanta, due quelli che fan per me: The great pan is dead e Catacombs (tutta roba allegra eheh).

bonnell (ha votato 7 questo disco) alle 11:01 del 27 maggio 2011 ha scritto:

non conosco il primo disco e non posso quindi fare paragoni o rendermi conto della "perdita di smalto". dico che questo mi piace, quei synth beats che vanno da una cassa all'altra sono attraenti! mi piace pochino la voce purtroppo. underworld usa grande pezzo, the great pan is dead non mi convince sembra inutilmente e violentemente forzata! ora provo con il primo!