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R Recensione

4/10

Dead Confederate

Sugar

L’appiattimento è indubbiamente uno tra i peggiori processi auto distruttivi che possono minare il percorso delle giovani promesse musicali sino a demolirlo. Nel caso dei Dead Confederate, il pericolo era insito all’interno del progetto e la sua detonazione era questione di attimi.

Dopo aver inaugurato il loro ingresso nella “seconda arte” con Wrecking ball, una piccola perla shoegaze-grunge ad alto tasso psichedelico, i cinque Georgiani hanno intrapreso un percorso tutto in discesa. Godendo dei favori della stampa -che li ha definiti come una versione grunge dei My Morning Jacket- la loro notorietà è aumentata a dismisura. Tour nazionali di spalla a Dinosaur Jr. e Meat Loaf, comparsate in noti show televisivi e l’entrata di prepotenza nelle classifiche rock statunitensi con il singolo "The rat".

Oggi i Dead Confederate tornano con una coscienza diversa, sviluppata dalla collaborazione con John Agnello, storico nome del music business; uno che, tra produzioni e partecipazioni come ingegnere del suono, vanta nel suo curriculum molti dei big che hanno fatto la storia della musica; un sodalizio che tutti sbandieravano come garanzia di sviluppo e miglioramento nel sound della band, ma che li ha traditi come neanche il vecchio Giuda avrebbe fatto. Da questo momento in poi, la magia che avvolgeva Wrecking Ball svanisce, lasciando spazio ad una kermesse orgiastica di suoni d’antan e melodie retrodatate. "Sugar" rappresenta un comodo divano in cui i Dead Confederate si sono spaparanzati senza tanti indugi, propendendo per una corrosiva staticità che massimizza i cliché di un rock già di per sé derivativo.

In soldoni, il loro sviluppo/inviluppo inizia 1) dalla totale eliminazione delle drone guitar, attrici comprimarie del primo album ed adesso sostituite da distorti saturi e dissonanti che puzzano di già sentito; 2) continua con una sforbiciata netta al minutaggio, che in ogni brano si assesta intorno ai fatidici tre minuti e trenta (circa), come se avessero voluto a tutti i costi dare la forma di potenziale hit ad ogni brano smussando qualsiasi eccesso; 3) sino ad arrivare alla voce di Hardy Morris, per la quale serve spendere qualche parolina in più. Le scelte melodiche puzzano di vecchio, oltre ad essere vincolate indissolubilmente ad un periodo storico musicale ben preciso, all’esterno del quale non ha più senso proporle. Tuttavia il peggior difetto di Morris è il suo voler scimmiottare in maniera fin troppo evidente Billy Corgan. In alcuni brani la voce è talmente simile a quella dell’ex Pumpkins che sembra quasi volerla tributare, come nell’oscura “Father figure”.

Il problema finale è che i pezzi migliori sono proprio quelli in cui sono più manifesti i difetti sopracitati, dove la band da il meglio di se ma la vostra mente continuerà ad arrovellarsi nel senso di deja vu senza trovare mai la soluzione. Onde evitare di impazzire dinanzi ad una così strana aporia, bisogna approdare ad una conclusione concreta. Diciamo che “Sugar” è il tipico album che potrebbe accompagnarvi in un viaggio di quelli in cui si accende lo stereo e si spenge la mente. Perché l’unico modo per gustarsi l’ultima fatica dei Dead Confederate è comprenderli per come fattualmente sono, rinunciando a capire dove iniziano le loro influenze musicali e dove finisce il loro estro artistico.    

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Alessandro Pascale (ha votato 7 questo disco) alle 18:10 del 17 aprile 2011 ha scritto:

"Diciamo che “Sugar” è il tipico album che potrebbe accompagnarvi in un viaggio di quelli in cui si accende lo stereo e si spenge la mente."

sono sostanzialmente d'accordo con questa frase, però non condivido il giudizio distruttivo del disco. Va detto che non conosco il disco precedente cmq leggendo la tua rece si capisce che erano molto più sperimentali e meno "popular" rispetto al presente disco. Da come ne parli credo anzi che dovrò per forza di cose recuperarlo il disco precedente... nel frattempo però alzerei un po' l'asticella per questo dischetto che ho ascoltato più volte trovandolo un divertissement onesto e genuino: canzoni indie-rock che sanno il fatto loro, senza troppe pretese e che svagano bene l'ascoltatore con garbo.