R Recensione

8/10

Hypnotic Brass Ensemble

Hypnotic Brass Ensemble

Da trent’anni vivo in un piccolo paese di provincia. Seimila anime a ridosso di una grande fabbrica. Da qualche tempo la fabbrica è in disuso, ed è come se da allora siano in disuso anche le seimila anime. I figli degli operai (i figli di chi “qualcuno” non lo sarà mai, cantavano i C.S.I.) si sono trasferiti, e in paese sono rimasti gli anziani. Qualcuno lavora ancora, stessa fabbrica ma più distante, in città. Gli altri sono pensionati e casalinghe. Non ci sono giovani, non ci sono le famiglie di extracomunitari che solitamente popolano le grandi città con i loro bambini. Eppure c’è un senso di appartenenza alla famiglia radicato, profondo, inscindibile. C’è il riconoscimento di un sistema patriarcale forte, che stride energicamente con l’individualismo e la volontà di anonimato tipica della metropoli. Questo sistema di identificazione ti inquadra fin da piccolo, generando domande retoriche e al contempo inquietanti: un giorno un perfetto sconosciuto mi fermò all’uscita da scuola, mi squadrò da capo a piedi e mi domandò, severo: “Ma tu sei figlio a tuo padre?”.Capii dopo anni che non era sua intenzione dubitare delle qualità morali di mia madre, ma semplicemente capire a quale famiglia (tribù) appartenessi. Non gli importava chi io fossi, stava solo tentando di riconoscere mio padre attraverso me.  

Eppure io alla leggenda del “figlio di” non ci ho mai creduto. La genetica non mi ha mai convinto. La natura potrà tramandare di padre in figlio delle fattezze fisiche, dei tratti caratteriali, ma nient’altro. Le capacità, il talento e le attitudini personali che non derivano dall’esperienza hanno un’origine sempre misteriosa, imperscrutabile. Ne è prova il fatto che per ogni esempio parzialmente positivo (Jeff Buckley), ne troviamo decine totalmente negativi (scegliete chi volete, da Eric Mingus a Christian De Sica). Altro che “buon sangue non mente”. Mente eccome, e spesso consente a certi “figli d’arte” di ottenere risultati immeritati: pensate ad Asia Argento, a Ricky Tognazzi, a George W. Bush … devo continuare? Insomma, a me un singolo di ignorant-rap intitolato “Bella di Padella” non l’avrebbe fatto incidere nessuno.  

No no no, non vale. Il successo bisogna meritarselo. A scuola, sul campo, ad armi pari. O in strada. Come questi Hypnotic Brass Ensemble, brass band nata sui marciapiedi di Chicago, un piccolo miracolo di cui (solo?) l’America è ancora capace. Sono in otto, tutti fratelli: quattro alla tromba, due al trombone, uno all’ elicone (un basso tuba molto usato dalle marching-bands) e uno all’ eufonio (meglio noto come “bombardino”). Hanno suonato ovunque: nelle strade, davanti alle vetrine dei negozi, nei sottopassaggi della metropolitana, suscitando spesso l’interesse dei passanti con il loro splendido mix di jazz, funk e hip hop. La leggenda narra di come le loro esibizioni alle stazioni ferroviarie creassero problemi ai passeggeri, i quali spesso perdevano il treno perché rapiti dalla musica degli otto ragazzi. La musica degli Hypnotic Brass Ensemble è semplicemente questo, è il jazz che esce dai teatri cittadini e torna in strada, è la tradizione delle brass bands che ripudia il perfezionismo formale della Dirty Dozen Brass Band e sporca il suo background jazz con i suoni metropolitani, con i bassi funk ed i ritmi hip-hop.  

Il disco è un fluire continuo di ritmiche sinuose e caldissime, che non concede spazio ad assoli o individualismi di alcun tipo, perché gli ottoni dei fratelli girano costantemente a pieno regime come se il tutto fosse registrato in presa diretta durante una delle loro celebri esibizioni agli angoli delle strade. “Alyo” è una delle cose più funk che vi possa capitare di ascoltare, come se l’anima nera dei Funkadelic decidesse di reinterpretare la svolta elettrica di Miles Davis, “War” ha un tema reiterato che farebbe muovere il culo anche ad un elefante, “Gibbous” è un duetto folle tra le note basse dei tromboni e del basso tuba e il ritmo forsennato della batteria. Già, la batteria. Perchè gli Hypnotic Brass Ensemble sono quello che gli americani chiamano una “Drum & Bugle Corp”, ad indicare che il contraltare sonoro di questo profluvio continuo di note soffiate è la batteria, qui suonata a turno da tre mostri come Malcom Catto degli Heliocentrics, Sola Akingbola (batterista di Jamiroquai) e il mitico Tony Allen.  

Ballicki Bone” è il pezzo più strutturato, nonché quello che più azzarda soluzioni di stampo “rock”, grazie ad accelerazioni ritmiche vertiginose sospinte dal basso di Flea dei Red Hot Chili Peppers. “Jupiter”, di contro, è il pezzo più marcatamente jazz, sebbene inteso in una forma dilatata, libera e ricca di sovrapposizioni tematiche. “Marcus Garvey” è – probabilmente – la giusta via di mezzo, il pezzo meglio bilanciato tra pulsioni ritmiche funk, incedere “marching” e la reiterazione di temi vagamente “latini”. E se sporadicamente il suono rientra nei ranghi (“Satin Sheets”), molto più spesso si nutre di Afrobeat (o di ritmo allo stato puro), come nella programmatica “Party Started” e in “Rabbit Hop”, brano curioso (proposto anche in versione remix con Mr Damon Albarn al moog) ed anche l’unico non composto da loro stessi ma dallo sperimentatore recentemente scomparso (e criminalmente ignorato) Moondog.  

Anzi no, anche l’iniziale “Alyo” non è stata composta dagli otto fratellini ma, pensa un po’, dal loro amato papà Kelan Phil Cohran: fondatore dell’ “Association for the Advancement of Creative Musicians”, dell’ “Artistic Heritage Ensemble” (primo nucleo degli Heart, Wind & Fire), ma soprattutto membro della Arkestra, la divina orchestra jazz condotta da Sun Ra, nella quale Cohran suonava la tromba, alcune cetre antiche e uno strumento da lui stesso inventato e battezzato Frankiphone (o Arpa Spaziale).  

Perché questi sono figli d’arte per davvero.    

 

Sito Internet : http://hypnoticbrass.net/

MySpace : http://www.myspace.com/hypnoticbusiness    

Video:  

“War” - video ufficiale - http://www.youtube.com/watch?v=ggOVNYFlP7Q  

“Ballicki Bone” – live alla stazione dei treni di New York - http://www.youtube.com/watch?v=KWJOZELBaB8  

“Marcus Garvey” – live con Tony Allen - http://www.youtube.com/watch?v=9grN7G4Zulk

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 7 voti.
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Zorba 10/10
REBBY 7/10

C Commenti

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Elafe88 (ha votato 8 questo disco) alle 1:19 del 25 novembre 2009 ha scritto:

complimenti!

Ciao, recensione SPLENDIDA davvero! corro ad ascoltarmi il disco!

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 9:21 del 25 novembre 2009 ha scritto:

Aprofittando dei link a disposizione sembra roba molto buona, come la recensione del resto. L'unico

timore è che i brani si assomiglino troppo tra loro. Ma anche fosse così vale la pensa cercarlo.

Grazie per il suggerimento Rocco(cò eheh)!

Alessandro Pascale alle 9:27 del 25 novembre 2009 ha scritto:

i primi due paragrafi sembrano un racconto nel racconto, davvero affascinanti. Hai pensato di scrivere un romanzo?

(ora mi ascolto i brani in allegato)

hiperwlt alle 9:48 del 25 novembre 2009 ha scritto:

madonna che recensiono fabio: complimenti!è un tema che mi sta molto a cuore quello che hai esposto. tu sei assolutamente da "die zweite heimat". che musicisti e che sonorità: bisogna reperirlo immediatamente.

Luca Minutolo (ha votato 6 questo disco) alle 11:41 del 25 novembre 2009 ha scritto:

Sound molto interessante, ma un pò monocorde...A lungo diventano noiosi...

fgodzilla (ha votato 8 questo disco) alle 13:50 del 25 novembre 2009 ha scritto:

a parte la recesione

Che e'da 10 !!. Questi hanno veramente le palle cubiche

mamma che bravi....poi ripetitivi o no lo decidero' appena avro' ascoltao tutti i pezzi ma i primi 3 per ora bastano e avnzano per togliermi il cappello

chapeu !

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:06 del 25 novembre 2009 ha scritto:

Bella recensione, che mi invoglia a reperire subito il disco. Sembra davvero interessante sta roba.

ozzy(d) alle 18:50 del 25 novembre 2009 ha scritto:

Mi associo a Julian!

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 9:08 del 2 marzo 2010 ha scritto:

Recuperare sto disco è stata una faticaccia e se

non fosse stato per un mio amico sarei ancor oggi

in caccia (eheh). Ma ne è valsa la pena: Alyo,

War, Jupiter, Party started, Sankofa, Hypnotic e

Satin sheets sono nettare per le mie orecchie.

Immagino che, come dice Fabio, live questi rendano

ancora di più. Spero proprio in una botta di culo

quando all'inizio di aprile sarò a NYC.

Dr.Paul alle 10:20 del 2 marzo 2010 ha scritto:

è londinese la Honest Jon's...zona notting hill! questo è un bel disco, anche se abbastanza standard come sonorità. la leggenda del gruppo di strada invece mi convince poco, troppo datata per essere spontanea, poi vederli con i jeans di marca davanti alla stazione...qualcuno addirittura smette di suonare per fare degli appunti ai passanti...mmm, cmq disco buono e codias impareggiabile!

fabfabfab, autore, alle 11:32 del 2 marzo 2010 ha scritto:

RE:

Sì Paul ma non è che se vuoi suonare per strada devi avere la Social Card...

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 10:33 del 2 marzo 2010 ha scritto:

Mica spero di vedere la casa discografica eh. Mi

risulta che la band, che è originaria di Chicago,

sia ora di stanza a NYC e suoni spesso la, anche in spazi al chiuso ... Sono d'accordo con te Doc

che le sonorità non è che siano innovative, ma

più di metà disco mi gusta proprio.

Dr.Paul alle 10:42 del 2 marzo 2010 ha scritto:

LOL, si mi riferivo alla tua faticaccia per reperire il disco, etichetta europea ma in italia distribuita poco o niente...

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 10:55 del 2 marzo 2010 ha scritto:

ops:

Dr.Paul alle 12:18 del 2 marzo 2010 ha scritto:

lol sisi è una pippa tutta mia...

Marco_Biasio alle 9:44 del 27 ottobre 2014 ha scritto:

Non so dove fossi in tutto questo tempo. Fatto sta che li ho scoperti ieri e me ne sono perdutamente innamorato... Fabio, se non ci fossi tu.