R Recensione

7/10

Adem

Takes

Avete mai realizzato una cover? No? Impossibile. Tutti quelli che sono o sono stati, a vario titolo, musicisti, hanno almeno suonato e/o cantato un pezzo altrui. È la prima cosa che viene in mente quando ci si trova in cantina con gli strumenti, o in spiaggia, o in terrazzo accanto al barbecue con la chitarra in mano. Ma anche chi non ha mai saputo suonare nient’altro che il campanello di casa, avrà sicuramente “coverizzato” parecchie canzoni più o meno famose sotto la doccia. L’arte della cover è dunque arte popolare e popolana, alla mercè di artisti dozzinali e improvvisati. L’arte della cover è l’arte dei non-artisti, o degli artisti a corto di ispirazione.

Oppure no. L’arte della cover è complessa, coraggiosa e nobile. È gratificazione e riconoscenza verso modelli e fonti d’ispirazione, è volontà di confronto col passato, è l’urgenza artistica del mettere a nudo le proprie capacità con partiture già scritte. La cover è l’arte musicale per definizione, il musicista diventa ritrattista, o caricaturista se lo desidera. Nella cover l’artista mira al riconoscimento della propria eccellenza, ambisce al superamento del modello, ruba l’anima del pezzo al suo autore originale sognando di sostituirlo nella memoria di chi ascolta.

A partire dai primi anni ’60, il noto falsario inglese Eric Hebborn ha riprodotto meravigliosamente alcune opere di celebri artisti, creando perfette opere su carta con le tecniche e gli stili più diversi di Mantegna, Tiepolo, Rubens, Turner, Corot, Piranesi ed altri grandi maestri del passato, tanto che alcune di esse sono ancora esposte nei musei di mezzo mondo con i nomi degli artisti imitati (e, chi lo sa, potrebbe anche essere successo il contrario, per cui opere bollate come “falsi” sono in realtà “originali”).

Il fatto è che quando il falso, la cover nel nostro caso, è opera d’arte a sua volta, si innescano meccanismi e domande senza risposta. Ad esempio, a chi appartiene il pezzo “Hallelujah”? A Leonard Cohen perché l’ha scritta, certo. O a Jeff Buckley perché l’ha resa famosa? Ma forse in Canada la conoscono nella versione di K.d. Lang, in Italia in quella di Elisa, e i più giovani nella versione di Rufus Wainwright, eseguita sul finale del film Shrek. Oppure “All along the watchtower”: è un pezzo di Bob Dylan, ok, ma quanti la preferiscono nella versione elettrica di Jimi Hendrix? E chi di voi ha amato i “cover records” di Cat Power senza nemmeno conoscere i brani originali?

Fare un disco di cover è dunque un gesto coraggioso. Certo, c’è cover e cover. Adem, ad esempio, (ex) mezza mela nei post rockers Fridge (l’altra mezza si chiama Kieran Hebden, aka Four tet) si guarda bene dal confrontarsi con certi mostri sacri. E dire che aveva già eseguito “Mojo Pin” per il disco di tributo a Tim e Jeff Buckley del 2005, e addirittura “I walk the line” di Johnny Cash per uno spot di una famosa marca di jeans. Ma un disco intero no. Troppo rischioso, forse. Allora, come dichiara l’artista turco-inglese nelle note di copertina, “fare un disco di cover è come fare un mixtape”: come la cassetta da mettere in macchina, per i vecchietti come il sottoscritto, o la playlist da inserire nell’i-pod dell’amico, per i più imberbi fra di voi. Nessun stravolgimento, nessuna stramberia, solo una selezione di pezzi scelti dagli anni della sua “formazione musicale”: dal 1991 al 2001. Anni di post-rock, come quello dei Codeine, riproposti con estrema fedeltà in “Bedside table”; dei Tortoise, la cui “Gamera”, spogliata degli orpelli elettronici del combo di Chicago, diventa uno splendido intreccio di chitarre virtuose alla John Fahey; e dei Low, presenti con quella“Laser Beam” che, quantomeno dal punto di vista vocale, darebbe vita a notevoli difficoltà per chiunque. Eppure Adem Ilhan interpreta tutto con estrema facilità, senza forzature, adattando il proprio registro vocale e le proprie caratteristiche musicali alle diverse necessità.

La voce sembra essere l’elemento vincente di questo “Adem contro tutti”: sentite la bellezza fluida di “Slide”, originariamente interpretata da Lisa Germano, artista troppo spesso sottovalutata e dotata di una voce tanto bella quanto particolare, oppure “Oh my lover”, dove l’urgenza rock di P.J. Harvey diventa un gospel acustico piccolo e vibrante. Laddove il materiale è di prima scelta non c’è neanche bisogno di queste piccole modifiche: il beat simil-Arab strap che sorregge il coretto di “Loro” basta e avanza (e adesso passerete la notte con me per ritrovare negli scatoloni quello splendido omonimo album dei Pinback, anno 1998). Stessa cosa dicasi per "Hotellounge”, fotografia in bianco e nero del periodo di grazia dei dEUS.

Meno interessanti risultano essere le pagine più rock: “Invisible man” delle Breeders non era memorabile neanche nella versione originale, mentre in “Starla”, lato b di “Disarm” degli Smashing Pumpkins, il nostro non va oltre l’opera di un Josè Gonzalez (uno che sulle cover ha costruito una piccola carriera).

Le uniche vere scommesse, poi, il nostro falsario le vince in pieno: “To cure a weakling child”, beat asimmetrici e nevrotici per vocina mandata in loop secondo Aphex twin, diventa per Adem un ballata acustica, solare e calda tra chitarre, glockenspiel e percussioni; mentre il doloroso isolazionismo vocale di “Unravel” dimostra che la voce di questo grande interprete non teme nemmeno Bjork.

C’è anche un altro pezzo, fantastico, un dolcissimo elogio dell’amore perduto. Ma dovrebbe esserci un “regolamento delle cover” che bandisce dagli artisti “rapinabili” gli Yo la tengo, o quanto meno questa canzone (“Tears are in your eyes”).

Domani mattina, sotto la doccia, fate attenzione alla cover che deciderete di eseguire: potreste passare alla storia, commettere un sacrilegio, o semplicemente scoprire di essere bravi come Adem

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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REBBY 7/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 8:11 del 8 luglio 2008 ha scritto:

Loro, soprattutto, e Invisible man sono i pezzi

che mi sono piaciuti di più.

Nadine Otto alle 15:47 del 9 luglio 2008 ha scritto:

Blinking stars

Che bello, è ritornato Adem!!! Devo ancora sentirlo bene, però già solo sentire la voce mi strappa un sorriso... e poi la scelta di canzoni è ottima, sopra la media dei soliti album di cover! Rece carina!