A In The Basement - 2

In The Basement - 2

Seconda discesa nelle cantine. Dal nuovo indie pop da vergini suicide dello scorso appuntamento all’elettronica post-chillwave del 2011, scavando nell’underground internazionale. Tra Mar Baltico e Stati Uniti.

 

°°°                                           Shine 2009

Partendo dalla Finlandia. Gli Shine 2009 sono due, vengono da Helsinki e fanno quanto si auspicava da un po’, per mettere fine all’inesauribile ripescaggio eighties dell’electro-indie recente. Non è una mossa geniale, ma è liberatoria: si pesca dai ‘90. L’ep “Associates” (2010) e alcuni pezzi rilasciati solo via myspace sfoggiano una patina primi-novanta smaccata, tra beat à la Crystal Waters (“Higher” è una loro rilettura) e linee pop elegantissime, su tastiere stile Pet Shop Boys era-“Behaviour” e balearismi Saint Etienne. “Naturally” e soprattutto “New Rules” sono pezzi assieme glabri e sensuali, roba da The Beloved (per chi se li ricorda: ma come si può non ricordarli?) più radical chic e meno puttane, e in ogni caso pop dreamy di classe sopraffina. La Scandinavia ha mostrato di essere in prima fila nel revival di electro-pop nineties (penso a gente come Korallreven, Air France, Boat Club, ceo), e l’impressione è che questi Shine 2009 si aggiungano alla flotta non da comprimari. Delizia.

 

°°°                                           Korallreven

A proposito. Dopo una manciata di singoli, il duo svedese formato da Marcus Joons e Daniel Tjäder (quest’ultimo tastierista dei Radio Dept.) è lanciatissimo, sempre su basi nineties e textures sognanti color latte. “Honey Mine”, con la voce di Victoria Bergsman (The Concretes, Taken By Trees) che accarezza, è uno spettacolo dream-pop primi ’90, con il surplus di una melodia killer: da primavera che sboccia (The Tough Alliance?). Isole mediterranee a go-go in “The Truest Faith”, con i Saint Etienne di “Foxbase Alpha” sullo sfondo e una chitarra classica che si perde nelle cascate di tastiere. La ripresa balearic, insomma, è ormai conclamata, e quasi esclusivo appannaggio del nord (fanno eccezione i greci Keep Shelly In Athens e gli spagnoli Delorean, che nel mare nostrum ci sguazzano davvero: siamo proprio nos a mancare...). Intanto, si attende il primo LP dei Korallreven. Forse in estate, quando una cosa come “Loved Up”, acustiche con eco, congas e chiusura su flutti marini, ci starebbe da dio.

 

°°°                                           Psychic Reality

Se l’Europa preferisce il pop, gli Stati Uniti del sottobosco continuano a cercare la declinazione psichedelica. Alla Not Not Fun, soprattutto. Il cui nuovo corso guarda con interesse ad incroci tra house, trance e ambient da primi ’90. Da prima Bjork, per capirci, a cui può rimandare la dance ipnotica di “Fruit”, apice del secondo LP di Psychic Reality (un nome, un programma), “Vibrant New Age” (un nome, un programma 2), uscito il mese scorso. La voce di Leyna Noel si perde tra spire di accordi scuri e melodrammatici, con la produzione del Trans Am Phil Manley che lancia verso trip cupissimi, come nell’incubo neo-synth di “Expla”. “Hi-High può ricordare le eteree decostruzioni avant-pop di Glasser, mentre il beat pesissimo di “Momo”, tra gli spasmi vocali molto Pocahaunted della Noel e i rumorismi shitty dietro, inquieta, per lasciare poi spazio alla neo-“Hyperballad” su organo di “Soft Script”, con finale liberatorio. Quasi tutto è tossico, non tutto è a fuoco, ma la ragazza è da tenere d’occhio.

 

°°°                                           Maria Minerva

Due albe, ho visto, a Tallinn. In pieno agosto. E sembrava di stare nella pianura padana novembrina più rustica. Nebbia, fitta e cattiva. “Tallinn at Dawn”, l’esordio per la Not Not Fun dell’estone Maria Minerva, sembra in effetti collimare con i miei ricordi: ci si muove in una dream-trance sfumata e anti-melodica come disorientati, tra spinte psych e new-agey visionarie alla Dylan Ettinger (“Hop Hop Gone in Spring”) e campate di tastiere venate di effetti sfocatissimi (“Sad Serenade”). C’è Nite Jewel, ma c’è soprattutto lo spirito freak applicato all’elettronica di Amanda Brown (Pocahaunted, LA Vampires), che ha molti punti di contatto con i vocalizzi sregolati, spesso fuori tono e sdoppiati in drogatissimi giochi di specchi (“10 Little Rock Chix Listening To Neu!”), della Minerva. Sottopelle si espande, come un virus, uno snervamento pallido, di ambient a cui si fa la doccia del mattino (“Tallinn at Dawn”), e così pure il Joe Cocker di “Unchain My Heart” sfuma in foschie nordiche. L’estone è entrata anche nel catalogo della neonata 100% Silk (affiliata alla Not Not Fun), che sembra voler dedicare molto spazio a riprese psych-electro della house primi ’90. Se questa sarà una nuova tendenza, Maria Minerva sarà tra le progenitrici.

 

°°°                                           Dunian

Visitando la Lettonia, invece, mi fermai a Liepāja, presentata dalla Lonely Planet come il centro rock del Baltico: affascinante il quartiere tra boheme e povertà di condomini soviet di Karosta, ma rock, in città, vuol dire hard-rock da centauri con bandana. No grazie. Eppure anche in Lettonia  si muove qualcosa di nuovo. Tra i roster di etichette iper-à la page come No Pain In Pop e Disaro c’è, da un po’ di tempo, un tale Dunian, che proprio lettone si proclama. Non ha ancora pubblicato nulla, ma promette benissimo. “Love To Match” e “Where Is The Problem” partono dal glo-fi più liquido stile Baths e Toro Y Moi per annegare in movenze chill-out, tra bassi a rimbalzo, fingersnaps r’n’b e tastiere vaporose. In cuffia a volumi alti è come stare sott’acqua e vedere il mondo fuori sfarsi, cullato dalle onde. Ancora più eterea “Mind Body Mind”, con sample vocali black che sfumano su se stessi. Post-chillwave, here we come.

 

°°°                                           Les Sins

Laggiù in South Carolina, in compenso, c’è un giovanotto di nome Chaz Bundick che è a dir poco infaticabile. Primo tra i glo-fi-ers, col moniker Toro Y Moi, a concedere il bis, dopo il debutto di “Causers of This”, e a cercare nuove strade, nello specifico funk-lussureggianti (“Underneath The Pine”), ha avuto pure il tempo di dedicarsi a un progetto parallelo col nome di Les Sins. Ne è uscito un Ep (“Lina”) ovviamente molto cool. In effetti la title-track è un pezzo spettacolare, incrociando dance ibizeca a mosse funkie, un basso groovosissimo e vocals contagiosi da cantare a squarciagola sotto una doccia estiva: euphoric-dance filtrata e sottilmente rétro su cui è impossibile star fermi (“Youth Gone”) e che finisce per cambiare di segno le malinconie glo-fi (vd. l’uptempo trascinante di “Toss & Turn”). Da questo progetto Les Sins Bundick ne esce, hands down, come il più reattivo e incontenibile tra i chillwavers della prima ora.

 

°°°                                           Sumsun

Stiamo in tema. “Samo Milagro” (2010) di Sumsun ricorda uno pseudonimo del primo Basquiats, ma rievoca, ancor più, località tropicali e climi umidi su cui spiaggiarsi. Dalla Florida, Judson Rogers inonda di glo-fi subacqueo (“Ants”) ed elettronica eterea (“Reflections”), fatta tutta di tastiere impalpabili e beat sommersi da echi e onde di bassa fedeltà. Niente cantato; al massimo frasi di synth che si perdono in un indistinto balearico da abbiocco meridiano, con effetti di stordimento assolatissimo (“Wind Stone”). Roba, chessò, da Memory Tapes in vacanza a Miami, con tanto di sciabordio del mare (“Call It Home”). Non ci sono tutte le idee dei migliori glo-fi-ers, ma un’estenuazione del rilassamento balneare e delle frequenze disturbate (esemplare la suite Cappella) che affascina non poco.

 

°°°                                           Gatekeeper

Troppo mare, qua, e luce del sole. Coi Gatekeeper (Aaron David Ross e Matthew Arkell di Chicago) si chiude in nero. L’ep “Giza”, uscito a fine 2010, si inserisce a pieno titolo nel revival horror disco recente (Bottin, sì). Non è l’operazione filologica stile ‘noir all’italiana’ proposta da Umberto nel suo “Prophecy of the Black Widow”, ma una rilettura del genere filtrata dall’elettronica ’90 sponda techno: “Chains” riporta all’euro-trance tedesca più sinistra (U96 - viene in mente "Das Boot" -, Magic Affair) riletta in chiave witch, così come gli arpeggi nerissimi di “Giza”; “Storm Column” abbassa i ritmi, tra temporali sintetici e beat glaciali; “Serpent” è l’apice, con un effetto stile flauto andino e sample orrorifici che fanno il verso a Fever Ray, calandola in un medioevo di orchi e boschi stregati. Sugli urli di raccapriccio di “Mirage” ci si potrebbe pure ballare sopra, ma i due Gatekeeper dicono che il disco rende al massimo «at two in the morning on your computer at night, when your imagination is open and susceptible». Per chi è già oltre i Salem.

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hiperwlt alle 20:13 del 19 marzo 2011 ha scritto:

grande articolo, ancora! dunian lo tengo d'occhio da un po' (- credo - grazie ad una tua segnalazione sul forum, l'anno scorso) e sì, con baths (specie nel "beat") e toro y moi condivide parecchio. da quel poco che ho ascoltato, interessante anche la deriva art, house (molto tribale) e psych di psychic reality. bene, a questo punto inizio con gli altri ascolti