EABS
Slavic Spirits
Solo per il fegato di sfidare il senso comune della Polonia cattoidentitaria di Visegrád con un concept imperniato su spiriti e presenze della narrazione mitologica slavo comune, gli EABS meriterebbero quellattenzione critica che salvo rare eccezioni non è stata ancora loro unanimemente accordata. Per certi versi, in questa presa di posizione politica, il sestetto di Wrocław (qui in formazione allargata a otto elementi, compreso il genietto londinese Tenderlonius a flauto e sax soprano) è pienamente figlio del proprio tempo storico e del proprio paese, che vede opporsi allobnubilante maggioranza oscurantista dei Kaczyński e dei Komorowski un fronte artistico comune, minoranza sparuta ma non per questo meno agguerrita (in un amplissimo diapason che va dagli happening del czarny poniedziałek alle provocazioni di Maria Peszek). Queste medaglie allonore, tuttavia, rimarrebbero metallo simbolico, non fosse per la sostanza musicale: una variabile che ci racconta di Slavic Spirits come di un disco preziosissimo e, per ampi suoi tratti, meraviglioso.
Eredità enciclopedica inevitabile, ogni volta che nella conversazione si tira in ballo il jazz polacco, è quella di Krzysztof Komeda, cui peraltro gli EABS avevano esplicitamente dedicato lesordio lungo ufficiale (Repetitions, 2017). Lascendente del maestro di Poznań, pure innegabile, non è comunque sufficiente a spiegare il patchwork stilistico ai cui incroci prendono forma le brillanti visioni di Slavic Spirits, una via crucis avventurosa che dal revival cool dinizio millennio si snoda attraverso lassimilazione contemporanea del patrimonio musical-coreutico polacco e ladozione dei linguaggi jazzistici ibridi in pieno sviluppo sullasse Londra-New York. Nel cuore della tracklist, spicca per inventiva la doppietta Ślęża (Mgła) Ślęża (questultima, curiosamente, scritta dal solo chitarrista Vojto Monteur): la prima, landscape ai margini del free jazz per piano e synth (manovra Marek Pędziwiatr), introduce in pompa magna la seconda, che riesce nellimpossibile impresa di costruire una siderale head per sax tenore, tromba e flauto, distribuendo le emozionanti cromature dei Jaga Jazzist di What We Must su di un oscillante ritmo trocaico che si direbbe ispirato dalle danze di Béla Bartók. Un vero e proprio capolavoro, che tuttavia non offusca ciò che precede, né tantomeno ciò che segue: dopo laffannosa corsa a ruzzoloni tra i cumulonembi impro di Ciemność, a catalizzare lattenzione sono il rigoroso crescendo orchestrale dalle tinte scandinave di Leszy (tra le cui fratture fiorisce uno straripante assolo di Rhodes del solito Pędziwiatr) e le afflizioni trenodiche di una Południca ristrutturata in unelegante per quanto melanconica chiave modale. A chiudere, poi, non casualmente, uno spiritual corale di grande sostanza, Przywitanie Słońca, pezzo che metterebbe daccordo GoGo Penguin, Nérija e BADBADNOTGOOD: epilogo inaspettatamente luminoso, in cui i volteggi complementari dei sax di Tenderlonius e Olaf Węgier si arricciano allombra della solida sezione ritmica jazz hop di Paweł Stachowiak e Marcin Rak.
È forse lesagerazione dellepisodio singolo a prevalere sulla valutazione del lungo periodo, ma, pure in uno scacchiere in perenne sobbollimento come quello del jazz contemporaneo, Slavic Spirits degli EABS ha piena dignità di essere annoverato tra le produzioni più stimolanti ed originali dellultimo lustro. Sorpresa dellanno in corso.
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