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R Recensione

6/10

A Flower Kollapsed

A Flower Kollapsed

Poche cose, in Italia, riescono ad imprimere con forza una propria estetica personale così ben definita, così ben modellata. In questa accezione Macina Dischi, e le macerie antisonore di base con cui gli artisti del catalogo si trastullano, come già Supernatural Cat prima di essa, fa sicuramente parte della ristretta èlite. Post-core, noise-core, noise rock, noise e basta, blues in distorsione perenne, hardcore del terzo millennio… Le etichette cambiano, ma la tendenza, l’umore artistico si sta invertendo: lo spirito continua. Simbolo magnifico di una rinnovata pacificazione sono gli A Flower Kollapsed, quartetto della provincia di Treviso giunto al terzo, omonimo full length dopo “Orsago” (2006) e “Brown Recluse” (2008), in grado di spiazzare chi li aveva già sommariamente inquadrati nel sospettabile calderone dello screamo e di sovvertire le tabelle di marcia perennemente puntate sull’indicazione di una wannabe identity tutta da rintracciare.

L’identità, in “A Flower Kollapsed”, non manca di certo. La virata verso un suono più tagliente, irregolare, schizofrenico, già annunciata a più riprese, sembra qui portare a compimento il proprio ciclo evolutivo, abbinando la complessità tecnica dell’apparato strumentale ad un impegno etico – quando non filosofico – vegano ed antispecista. Insieme impegnativo, a rischio usura. Per non perdersi in ingombranti filippiche basta, as usual, alzare gli amplificatori al massimo e far detonare i feedback su tele già care ai Marnero (“Maimed”), per poi sterzare all’improvviso, destrutturare i Dillinger Escape Plan tra pesanti dissonanze math e rocciose rincorse post-core (“All Nature Is My Nature”: quel basso!) e riscoprire l’ipercinesi dei Locust in un vortice di cambi di tempo, gorghi di note avviluppate su sé stesse, riff come pendoli in oscillazione perpetua e sottrazione cromatica (la notevole “Uniformity”).

I brani – sarà forse l’influenza di quel monicker che mi ricorda come, per l’ennesima volta, il disco sia liberamente scaricabile dal sito dell’etichetta? – non difettano né in passione, né in sincerità: per gli scettici, casse tese come corde d’arco ed ossa preparate alla micidiale resa dei conti di “Hollow Man”, hardcore mutante macchiato da epilettici ascessi convergiani. Complice anche la parallela notorietà a cui sono meritatamente giunti i Lucertulas prima (per citare compagni di roster), gli Storm{o} e gli Psychofagist poi (per citare band con possibili affinità in comune), “A Flower Kollapsed” potrebbe davvero essere il classico colpo con il botto, il grimaldello in grado di scardinare un po’ di perni arrugginiti in madrepatria e di aprire nuovi, importanti scenari per il gruppo. Ce lo auguriamo, non solo per spirito di cameratismo, ma anche, e soprattutto, per consentire al quartetto veneto di rattoppare le falle che ancora azzoppano l’andamento consequenziale dei loro dischi: le melodie spezzettate di “Revolt” mal si abbinano al devastante potenziale distruttivo della sezione ritmica, “Poisoned Tissue” gioca su carichi e scarichi del feedback, drone demoniaci e urla strazianti senza centrare davvero il bersaglio, la metamorfica immediatezza di “Details” riduce le durate, ma impoverisce lo scheletro.

Piccolezze, in fondo. Mai come ora il voto è qualcosa di relativo e personale. Fiore dopo fiore, che collassi un’intera foresta.

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