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R Recensione

7,5/10

Lleroy

Soma

Una volta interiorizzati i fondamenti grammaticali, decrittare la sintassi di “Soma” dei Lleroy diventa straordinariamente semplice, a tratti persino divertente. Dentro il second act del power trio marchigiano si sintetizza, magistralmente, quanto di più entusiasmante – leggasi: quanto di più rumoroso – l'Italia musicale abbia prodotto ed offerto nell'ultimo quinquennio. Il menù prevede le sciabolate Unsane di “Tignola” (basso di Chiara Antonozzi che esplode alla minima sollecitazione, latrato di Francesco Zocca come impossibile e scartavetrante incontro tra Federico Aggio dei Lucertulas e Ugo Pozzi dei Rifiuti Solidi Urbani, a confermare quanto questa musica si sia incisa nel profondo del nostro dna) come roboante antipasto, una “Cuorleone” che riduce in poltiglia i Neptune su andature ritmiche Serpe In Seno (cosa buona e giusta aver mandato a memoria il basso melvinsiano dell'anthem “Punk Is Dad”, un must have), il noise-core omicida di “Don Peridone” come proiettile in fronte a Steve Albini, il panzer distonico della title track tra Big Black e Dead Elephant, lo scalpo di “Ultimi Sintomi” sull'epidermide devastata di “Merda Nazionale” – li avete in mente i Putiferio che suonano sopra i Daughters? – e la violenza insensata di “Pura Grazia”, con il noise addosso all'orecchio sinistro e lo sludge che ansima e morde quello destro.

Tutte cose masticate, assimilate, digerite, finanche espulse da innumerevole tempo. Giusto. Tuttavia mai ci si potrà veramente abituare a sentirsele ribadire con tale veemenza, tale convinzione, tale carattere. E dato che a me l'hardcore piace, ma riconosco di adottare troppo spesso una scrittura prog, è bene sapere che “Soma”, nella sua schiettezza sovrumana, è l'antitesi del disco facile: da ascoltare e da assorbire, certo, ma anche da suonare. Non ci credete? Analizzate da vicino la struttura policefala di “Omega999”, la cui acidità cosmica filtra poco a poco da uno sbrindellato tappeto sonoro in degenerazione rapida e dolorosa: i MoRkObOt destrutturati di “MoRtO” - o i Pink Floyd di “Set The Controls For The Heart Of The Sun” o, ancora, i Dead Elephant in crescendo di “Black Coffee Breakfast”: indovinate chi compare ai campioni? – con stilettate di chitarra quasi astral, dritti da uno stomaco che rumina inconsultamente i Napalm Death di “Enemy Of The Music Business”, le devianze Unwound e, sui generis, gli umori catramosi della Amphetamine Reptile.

Anche una volta interiorizzati i fondamenti grammaticali, “Soma” rimane ugualmente quello che è: un disco eccezionale.

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