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R Recensione

7/10

Matryoshka

Laideronnette

Nel sogno il sentiero sotto i miei piedi sembrava fatto di steli d'erba soffice e polvere: una foschia avvolgeva i contorni delle cose, del mondo. Nessuna avvertibile presenza umana: solo un tutt’uno indistinto e accogliente. L'incertezza della destinazione faceva palpitare il mio cuore.

Ad una imprecisata ora del meriggio, alcune fuggevoli figure attraversarono la vallata e al loro passaggio corrispose una musica che sembrava fatta della stessa impalpabile materia dell'orizzonte, quello vicino e quello lontano. La loro melodia, simile a quella di una sirena spiaggiata con una profondissima nostalgia dell'oceano natio, senza mai farsi acuta, riusciva a pervadere completamente l'anima, reclamando il dominio su ogni organo sensoriale. Una melodia fatta di aria e di pulviscolo, elusiva, delicata eppure incombente, che traeva la propria ispirazione più dalla terra che non dal mondo spirituale, sebbene da lì sembrasse provenire.

Scoprii, al mio risveglio, che si trattava di due spiriti originari della terra del Sol Levante: spiriti che avevano eletto la propria affinità con i Sigur Rós, gli Hammock, Hector Zazou (risuona la sua attitudine ad un umanesimo elettronico), il Peter Gabriel degli esperimenti orchestrali, la Björk di "Vespertine", Birds Of Passage (al secolo Alicia Merz).

Le sinfonie minimali dei Matryoshka prendono per mano, accompagnando in zone franche della realtà, dove visioni oniriche si mescolano con la bruma: un brano come Sacred Play Secret Place racchiude, nella sua suadente malinconia, lo "sguardo oltre" del duo nipponico (Sen il Manipolatore, Calu la Voce Guida), uno scrutare trascendente e immanente allo stesso tempo, capace di diventare un vero centro di gravità emozionale. Instant Immortal mette ancora più in luce la grazia di questo saper dar vita a prospettive insieme diafane e tangibili. Con Cut All Trees ci si muove a mezz'aria su traiettorie pianistiche che riecheggiano Ludovico Einaudi: l'anima è cinta d'assedio con modi gentili, irradiata da chiarori celestiali che sulla terra cercano specchi d'acqua nei quali riflettersi. Hallucinatory Halo è davvero quanto di più vicino alle "moderne interpretazioni dell'antico" che il Maestro Zazou propose con il suo capolavoro del 1998 "Lights In The Dark".

Pianoforti, pulsazioni, eteree ascese vocali, fluttuazioni, espansioni, riduzioni: la magia che prorompe da ognuno dei brani di "Laideronnette", benché sulle prime appaia riconducibile a quella di altri operatori d'incantesimi, è in grado di regalare uno smarrimento sensoriale che va ben oltre gli ascolti iniziali (da mesi questo album perdura nella mia testa senza volerne sapere di uscire).

Uno smarrimento che però non vuole divenire ipnosi ma che piuttosto, instillando nella mente un intenso desiderio di spazi immensi ed incontaminati, ingenera una sete di libertà: una sete che può essere placata solo con l'abbandono alla malia di questa "musica di liberazione". Liberazione dalle "myriad small creatures trying to tie us to the ground" per dirla con i Pink Floyd di High Hopes, anche se con la storica band inglese qui non vi è alcun paragone pertinente, se non nella ricerca di un linguaggio musicale capace di descrivere paesaggi del regno di Orfeo.

Davvero credo che transitare per le strade di questo mondo con un album del genere – o anche solo un brano: Oblivion – in circolo nel proprio corpo riesca a rendere concreta la percezione di una Primavera imminente anche se si è nel bel mezzo di un gelido Inverno, riesca a far sollevare gli occhi anche quando le spalle sono ricurve e appesantite da una stanchezza interiore.

E' per tale ragione che caldamente vi consiglio questa sublime esperienza d'ascolto.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 3 voti.
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andy capp 5,5/10

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