Thee Silver Mt. Zion
Kollaps Tradixionales
Side One.
There Is A Light. Ci sono speranza, emozioni che contrastano, ci sono alti, bassi, c’è vita e respiro. Il primo movimento di Kollaps Tradixionales dura quindici minuti, ed è una rincorsa col cuore in gola prima di saltare nel cielo al rallenty. Quest’album contiene mille album, e ogni canzone è un prisma sfaccettato, una luce lo illumina dividendosi in milioni di colori, e i colori sono capitomboli, inciampano ovunque, colpiscono, solleticano, sfiorano… There Is A Light si ferma e riparte tre volte con slanci diversi, e l’armonia tra gli strumenti e le voci è talmente semplice e rarefatta che sembra sia sempre stata lì, prima d’essere rinvenuta. Classicissimi tocchi di elettrica, i violini, il canto sofferto ma placato, il controcanto femminile di speranza, l’enfasi sguaiata nei finali, il climax sovversivo in cui ogni cellula coinvolta scalpita e brilla. In questi quindici minuti risiede tutto lo spirito anarchico del nuovo, rinnovato Silver Mt Zion.
Side Two.
Capovolgiamo il vinile e disarcioniamo lo spirito. I Built Myself A Metal Bird è una schitarrata grassa, che diventa orgia ipnotica, riappropriandosi del punk, macerandolo insieme ad appropriatissimi violini e al canto di Efrim Menuck, sboccato, sopra le righe, mai arreso, e al formidabile apporto al drumming del nuovo membro del collettivo, Dave Payant. Non c’è soluzione di continuità, e viviamo, prede, l’incubo dilatato di I Fed My Metal Bird The Wings Of Other Metal Birds, un ambient desertico, destrutturato, improvvisazione che si ricompone lentamente in un post-rock molto fisico, fatto di barriti di chitarre e danze macabre di violino. C’è molto dell’estetica dei Godspeed You! Black Emperor prima del reiterato urlo finale “True! Love! Don’t! Speak! Its! Own! Name!” che simula l’esplosione vuota del “Some! Hearts! Are! True!” nella superlativa Blindblindblind del precedente lavoro.
Side Three.
Il secondo vinile è un altro disco, ma questo già lo sospettavamo. I tre movimenti di cui si compone il side three sarebbero title-tracks non fosse per opportune deviazioni ortografiche, e come da titolo coincidono con il lato folk popolare del collettivo. Kollapz Tradixional (Thee Olde Dirty Flag) è pianoforte violino e chitarra a braccetto con un canto traditional terribilmente dylaniano, mentre la breve Collapse Traditional (For Darling) è un minuto di ninna nanna di eterea delicatezza, resa unica dalle voci soavi di Sophie Trudeau e Jessica Moss. Kollaps Tradicional (Bury 3 Dynamos) rielabora il concetto stesso di folk infondendolo di oscura psichedelia, dalla distorsione lenta della chitarra di Manuck, attraverso scenari desolati e apocalissi torbide, fino all’eco ripetuta del canto e l’ossessione inguaribile per le parole e i significati (“Gonna bury three dynamos where the trees don’t grow”).
Side Four.
Sorprendente come il collettivo canadese ti stenda knock-out col pugno finale. ‘Piphany Rambler è una poesia di tenue speranza, una preghiera all’umanità, che sarebbe criminoso raccontare, perché fatta di stoffa infinita e preziosa. Una danza dilaniata dai sospiri, un capolavoro autentico, di quell’autenticità che facciamo fatica ad accettare, che incute timore da quanto è vera, sentita, lieve. Che fa commuovere e disperare, perché non esiste, non più.
“Thunder said to the lightning, ‘Let your good-foot swing, go down to the valley, and shine your light on everything.’
Lightning said to thunder, ’Go on swinging like the pounding rain, swing your blues like a hammer, ride your boy like a shuddering train, go on, swing the ocean full, go on swing the bending trees, swing it with a heart that bursts and shine your light on everything, let your good-foot swing and shake! and shake! and shake! and shake!’”
Buio.
Tweet