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R Recensione

8/10

Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra

Fuck Off Get Free We Pour Light on Everything

Non come, non cosa. Ma Quanto. In che proporzione. Questo ti chiedi apprestandoti al primo ascolto di un nuovo Thee Silver Mt. Zion. Quanto ti si pianterà nel cuore? Quanto ti illuminerà? In che proporzione ti farà esitare, poi cedere, infine piangere? Quanto sarà bello? Ecco. Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything è bello in modo sconsiderato. Quasi criminale.

La musica dei Thee Silver Mt. Zion è come una coperta sul mondo, che si ritira piano. Efrim Menuck e compagni, nella loro incarnazione verbosa (l’altra, dilatata e muta, è quella che risponde al nome Godspeed You! Black Emperor, sempre bene ricordarlo – se non altro per riempirsi la bocca) della Memorial Orchestra, non dipingono nuovi mondi, ne scoperchiano di già esistenti. Spesso con grazia, delle volte con dilaniato furore, ma sempre, sempre, con modalità del tutto anarchiche. Il gioco dei contrasti, dei pieni e vuoti, delle stratificazioni e delle scarnificazioni, è adoperato in maniera chirurgica eppure criminalmente destrutturata, perfettamente a fuoco in un’inquadratura di fumi e macerie, speranzosa nella distruzione perché prodromo obbligato per la rinascita. Ogni verso è un’invocazione disperata, una preghiera viscerale, qualcosa di talmente divino e celeste da rivelarsi perfettamente – e coerentemente – umano. La copertina stessa è un flash di luce da uno scatto troppo livido per non essere reale, è l’immaginazione che fotografa la vita. Il titolo del disco, infine: Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything è o non è stridente e bellissimo come il buio, la luce, e la consapevolezza di entrambi?

Proprio il titolo del disco è scandito durante il climax dell’iniziale semi title-track: Fuck Off Get Free (For The Island of Montreal) non ha paura di mostrarsi luminosa da subito, scartando con una finta sontuosa i crismi stereotipati del post-rock (silenzio – addizione – esplosione – sottrazione – silenzio) ed esordendo corale e vorticosa da principio, con i piedi imbrigliati al sottosuolo (“there’s fire in our dreams”) e gli occhi nel cielo (“Our! Dreams! Are! All! Of! Us! Until the end!”), dove s’incupisce di elicotteri e salvezze vane, terminando danzante di luci e di lava. Austerity Blues, dieci minuti più in là, è psichedelia pastosa e acutissima, acustica sino all’orgia elettrificata che di lì a poco disegnerà spirali di cerchi senza compasso (qualcuno ha detto Flaming Lips?), e al delirio quasi bucolico del finale.

Venticinque minuti, due pezzi, senza nemmeno aver sentito lo scorrere del tempo: in questo i TSMZ si dimostrano al solito superlativi. È come se edificassero intorno al’individuo in particolare, e all’umanità in generale, un’architettura sonora dalle geometrie sgangherate eppure evidentemente proporzionate: ora al maiuscolo, ora all’infimo. Eludendo lo spazio, ma soprattutto il tempo. Ecco perché un pezzo di quattro minuti come la conclusiva Rains Thru the Roof at Thee Grande Ballroom (For Capital Steez), così greve e consapevole nei riverberi e negli sfioramenti pianistici, non sembra nemmeno duri un quarto rispetto all’Austerity Blues di cui sopra: il peso specifico è identico, la funzione all’interno dell’album perfettamente armonica ed equilibrata.

Little Ones Run, ninna nanna al contrario, meravigliosamente materna e crudele come la natura, è il breve intermezzo tra la marzialità lacerata di Take Away These Early Grave Blues e la resurrezione dolorosa di What We Loved Was Not Enough, un monumento nascosto di lirismo, prima cullato, poi evocativo, indi sanguinante: lacrime, speranza, e forse luce. “All our children gonna die / Then the west will rise again”.

Gli apici raggiunti da 13 Blues for Thirteen Moons, quattro sontuosi movimenti suggellati da quel mostruoso epilogo di nome Blindblindblind, non potevano rimanere insuperati a lungo. Per coraggio, spregiudicatezza, impatto e meraviglia, Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything miracolosamente vi riesce. Per il resto, ciascuno ha la religione che si merita. Il “migliorThee Silver Mt. Zion, lo scelga invece il cuore.

V Voti

Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 7 voti.
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hiperwlt 7,5/10
luca.r 7/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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hiperwlt (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:00 del 16 febbraio 2014 ha scritto:

Trascinante: un flusso graffiante e morbido insieme, senza veri momenti di stanca (guardando al minutaggio di alcuni brani è quasi un miracolo). "What We Loved Was Not Enough" apice corale, i suoi archi qualcosa di emotivamente subdolo. Daniele splendido, al solito

Franz Bungaro (ha votato 8 questo disco) alle 14:47 del 23 dicembre 2014 ha scritto:

Che dire, un disco che cresce a dismisura ad ogni ascolto. Niente da fare, Bargeld non ne sbaglia mai una.