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R Recensione

6,5/10

Sdang!

La Malinconia Delle Fate

Raccontano storie senza parlare, dicono loro. E senza nemmeno spargere a destra e a manca quintali di riff inutili come troppe formazioni di genere, aggiungiamo noi. Tanto che, nella title track posta in conclusione di disco, l’alternanza è ridotta al minimo: da una parte un pugno di romantici arpeggi elettro-acustici interpretati con onirica grazia, dall’altra un’unica, scartavetrante frase noise, il cui spettro sonoro sfiora le gradazioni tonali del metal neoclassico (ma non dismettendo mai, nemmeno per un istante, la camicia di flanella). Ci si arriva comunque per gradi: pur compresso in poco più di mezz’ora, “La Malinconia Delle Fate”, esordio sulla lunga distanza per il duo bresciano degli Sdang! (dopo “Il Giorno Delle Altalene”, EP di presentazione di un anno fa) è percorso da un pronunciato dinamismo evolutivo che, se da un lato non regala particolari scosse (chi è avvezzo alle scorribande strumentali, relativo minimalismo a parte, non cadrà certo dalla sedia), dall’altro si fa ascoltare e riascoltare con continuità.

Il segreto? La parsimonia, probabilmente. La scelta di lasciare fuori dalla porta il virtuosismo accessorio (ed infatti i ghirigori da guitar hero che infiorettano un’ineccepibile “Il Primo Giorno Di Scuola” stonano assai) per puntare sulla bellezza e sulla delicatezza delle melodie (nei lunghi frangenti liquidi di “Martina” risuona quel flanger di cui, prima o poi, si sono innamorati tutti i gruppi tech). L’opinabile gusto estetico di chi scrive tende a prediligere, senza dubbio alcuno, i segmenti puliti a quelli distorti: è un piacere venire immersi nei contorsionismi jazzati della summenzionata “Martina” (se si tratta di una dedica d’amore, fortunata lei), nelle malinconiche progressioni indie-prog-rock della splendida “Scrivimi Una Lettera Tra Nove Anni” (quanto dei Perigeo? E quanto dei Motorpsycho?) e nei delay della seconda parte di “Cento Metri All’Arrivo”. Quando la sei corde di Nicola Panteghini si arroventa, i risultati suonano più modesti: escono sbuffi di boogie cartooneschi (ancora “Cento Metri All’Arrivo”), staffilate groove di pesantezza cosmica (in “Il Primo Giorno Di Scuola” si alternano addirittura ipercinetici fraseggi math e accenni di battute in levare: roba da far impallidire Quasiviri e Dilatazione), episodi genuinamente brutti (l’apertura-chiusura di rullante e charleston a metà di “Scrivimi Una Lettera Tra Nove Anni” è incomprensibile) e numeri stoner canonici, ma un po’ impersonali (“Astronomica”).

Se ci sarà da lavorare, insomma, sarà sui confini, sulle sfumature, sui territori di contatto, in modo che il flusso scorra più naturalmente, senza cesure o stacchi troppo bruschi. Il tempo correggerà queste lievi mende: nel frattempo rimane un disco, “La Malinconia Delle Fate”, che già reclama a gran voce un seguito.

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