R Recensione

8/10

Jacob Golden

Revenge Songs

Se si dovesse scrivere una guida completa ai cantautori emersi negli ultimi dieci anni si finirebbe, molto probabilmente, col compilare un volume delle proporzioni dell'eniclopedia Treccani: potere delle distanze che si annullano e di una visione d'insieme del quadro musicale sempre più capillare.

Per emergere in questo mare magnum servono caratteristiche uniche e armi cantautoriali ben affilate: la freakerie onnivora di un Devendra Banhart o l'attitudine strappalacrime di un Damien Rice, le capacità immaginifiche sovrumane di un Sufjan Stevens o il calore domestico di un Iron & Wine.

Anche Jacob Golden ha un suo asso nella manica e si chiama Hallelujah World: un disco uscito un lustro fa e criminalmente ignorato, in cui il cantautore metteva a frutto nel migliore dei modi possibili le sue passioni musicali, (Nina Simone e Jeff Buckley su tutti), cesellando un piccolo gioiello di pop cantautoriale. Abbastanza per riaccendere, a 5 anni di distanza, l'entusiasmo nei pochi che avevano avuto la fortuna di posarvi le orecchie sopra. Per tutti gli altri, questo Revenge Songs è un'ottima occasione per mettersi in pari col personaggio: tanto più che il cantautore californiano pare aver fatto di necessità virtù impiegando al meglio il tempo speso alla ricerca di una nuova label: rifinendo un disco senza riempitivi nè cadute di stile, dagli umori altalenanti e dai colori cangianti.

Golden suona classico senza apparire sclerotico, intimista senza rinunciare ad essere pop, curato senza scadere nella leziosità, malinconico senza mai divenire depresso.

L'opener Out Come The Wolves è la ballata folk rock in minore che hai già sentito un milione di volte ma che non ti stancherai mai di ascoltare, Pretend flirta con l'oriente in modo un pò naif ma sboccia solare e sorniona nel ritornello, On a Saturday è la pop song con cui svegliarsi (o andare a dormire) una qualsiasi mattina di Agosto.

E poi I'm Your Man e Church Of New Song, che paiono sbucate da una macchina del tempo, da qualche oscuro anfratto degli anni '70, la narrazione serrata riflessa in occhi chiari di Shine a Light, la voce spezzata di Revenge Song, l'epos di Shoulders, lo splendido omaggio a Jeff Buckley di Love You (probabilmente uno dei momenti migliori dell'intero disco).A chiudere l'album ci pensano il romanticisimo cupo e opprimente di Hold Your Hair Back e il minimalismo folk di Zero Integrity.

40 minuti in cui Golden rievoca voci grandi e piccole del cantautorato americano:  il folk pop triste di Ben Cristophers, il cantato etereo di Elliott Smith e gli svolazzi imprendibili di Jeff Buckley, il flow inarrestabile di Conor Oberst e le strizzate d'occhio alle radio di Josh Rouse. Questo e molto altro. E proprio in questa vena camaleontica si incontra quello che è probabilmente l'unico vero limite del cantautore californiano: la mancanza di un marchio realmente personale, in grado di scolpirsi definitivamente nelle orecchie dell'ascoltare.

Per il momento ci resta tra le mani un gran disco e tanto basta. E questa volta non potrete dire di non essere stati avvertiti: potreste dover aspettare altri 5 anni per avere un altra occasione.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 4 voti.
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mannaz 8/10
REBBY 6/10

C Commenti

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mannaz (ha votato 8 questo disco) alle 8:13 del 15 agosto 2007 ha scritto:

Davvero un bel cd..