R Recensione

7/10

The Polyphonic Spree

The Fragile Army

Forse non tutti sanno che la storia dei Polyphonic Spree affonda le radici in un evento tragico: è il 1999, un overdose pone fine alla vita di Wes Berggren e alle vicende del gruppo in cui militava in veste di chitarrista, i texani Tripping Daisy.

 Ed è così che Tim DeLaughter, frontman del gruppo, chiama a raccolta la truppa e decide di allargare i ranghi: se ci passate l’eufemismo, perché la nuova formazione che ne viene fuori, e che prende il nome di Polyphonic Spree, appunto, raggiunge un organico di circa venti persone.

Roba da rivaleggiare con i blasonati I’m Form Barcellona, da cui il gruppo di DeLaughter non si discostano eccessivamente nemmeno dal punto di vista prettamente musicale. A dirla tutta sono due, comunque, i gruppi a cui l’esordio del gruppo, “Together We’re Heavy” e questo “The Fragile Army” si rifanno: Flaming Lips e Mercury Rev. Alla vena pop sfocata e multicolore dei primi i Polyphonic Spree uniscono con sapienza la verve sinfonica dei secondi.

Una formula simile a quella vista in Jesus Hits Like The Atom Bomb, disco che aveva anticipato di un anno la fine dei Tripping Daisy, ma che risente delle trasformazioni innestate col passaggio al nuovo organico. Via i contrasti melodia rumore innestati dalle stilettate chitarristiche di Berggren, dentro un suono corale e più nitidamente pop, un sovrapporsi quasi caotico di voci e strumenti che pare una rilettura a briglie sciolte dei suoni animali di Wilsoniana memoria.

Una sorta di risposta texana all’horror vacui sonoro dei gruppi Elephant Six, Ladybug Transistor e Olivia Tremor Control su tutti, un florilegio di idee e di voci che a tratti tolgono ai pezzi l’aria per respirare e che non sempre riescono a salvare il gruppo dal ripetere pagine già scritte (l’opener Running Away), ma che regalano comunque momenti di pop inebriante: come nella volata Pixies di Get Up And Go o nell’ubriaca marcetta della title track, nel pop naif in due tempi di Guaranteed Nightlife (molto Flaming Lips) e nell’accorato inno di Blow Your Nest (molto Mercury Rev).

Resta, almeno da parte di chi scrive, la sensazione che la minore incontinenza melodica e la maggior sapienza nei contrasti mostrata sotto il vecchio moniker, rendesse il piatto meno indigesto e la ricetta più appetitosa, e magari il menu un filo meno monotono. La caratura pop del gruppo resta comunque sopra la media. E tanto basta. Almeno per questa volta.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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giank 8/10

C Commenti

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Charisteas (ha votato 7 questo disco) alle 21:10 del 2 ottobre 2010 ha scritto:

Dal vivo sono festosi e chiassosissimi, su disco fanno un gran bel pop. Alle volte esagerano con il numero di strumenti presenti nelle canzoni, creando una baraonda poco decifrabile.