V Video

R Recensione

7/10

An Early Bird

Echoes Of Unspoken Words

Chi seguisse la penna di Stefano De Stefano sin dai tempi della fortunata parabola dei Piper non ha certo bisogno di molte parabole introduttive sulla bontà della sua scrittura che, per le solite ragioni contingenti imperscrutabili ai contemporanei (o forse per il cronico sovraffollamento di una scena cantautorale atavicamente amorfa?), attende ancora di avere una consacrazione di pubblico degna di questo nome. Per chi, invece, si avvicinasse per la prima volta al materiale del songwriter partenopeo, un buon punto di partenza potrebbe essere costituito dal secondo disco a nome An Early Bird, “Echoes Of Unspoken Words”, uscito ad un paio d anni di distanza dal ben accolto esordio “Of Ghosts & Marvels”: una delicata raccolta di istantanee folk che, per palette cromatica e intensità d’esecuzione, sembra spartire ben poco con i milieu stilistici del canzoniere italiano.

Già dalla magniloquente apertura beatles-smithiana di “Declaration Of Life”, un solenne esercizio pianistico trinato da arpeggi di elettrica e interpretato con dimesso raccoglimento brit, si riesce ad intuire la direzione generale del lavoro: un saggio di efficace costruzione pop appropriatamente declinata in svariate forme particolari, dalle epopee intimiste del fu new acoustic movement (“Racing Hearts”) alle stille silvane di malinconici acquerelli indie folk (di “Fire Escape” è discutibile il solo arrangiamento per archi sintetici, un po’ posticcio), sino ad abissi minimalisti post-drakeiani (in “State Of Play”, dove interviene anche la chitarra elettrica di Claudio Piperissa, è particolarmente interessante il ritornello, giocato su un improvviso salto di tono) e alla resurrezione di fantasmi acustici novantiani mai obliati (non sorprenda la consonanza con i Motorpsycho generazionali di “Timothys Monster” nei giri di acustica di “Talk To Strangers”). La microvariazione stilistica interessa, più che i radicali, fattori periferici, questioni di sfumature: piccoli aggiustamenti in corso d’opera, come il piglio fumettoso da banda twee in “The Magic Of Things”, una “Stay” che sembra uscita direttamente da “Figure 8” o gli effetti sfocati di una “Mermaid Song” dal rinforzo pianistico in crescendo. Non tutto ha lo stesso peso, naturalmente: per la sensibilità di chi scrive, ad esempio, funzionano molto meno le aperture verso un suono più levigato e malleabile e al contempo assai meno interessante (un tempo si sarebbe detto, con un anacronismo che oggi fa sorridere, “commerciale”), come nel classico brit pop piano oriented di “One Kiss Broke The Promise” o negli echi romantic di “The Prisoner”. Ad impressionare positivamente, tuttavia, è il colpo d’occhio generale, che testimonia di un disco pensato certosinamente e curato nei minimi dettagli: cosa niente affatto scontata.

Segnatevi la raccomandazione. Al prossimo giro potremmo già parlarne in retrospettiva.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.