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R Recensione

7/10

Bill Callahan

Dream River

Smog era un maestro, uno di quelli che seminano invidia e incredulità perché sono troppo bravi (“Wild Love” è uno dei dischi che hanno dato un senso preciso agli anni '90, denso e afflitto come pochissime altre cose al mondo).

Ma Bill Callahan no. Oddio, non che abbia mai deluso veramente: ha provato a trasformarsi in un'aquila, ha inanellato pezzi sadcore senza fatica, ha cristallizzato i parametri di riferimento di tutto il cantautorato lo-fi del decennio zero. Si è sempre meritato la paghetta settimanale, insomma.

Però, ecco, c'è un però. Lo dico a bassa voce: i suoi dischi, a onta delle intenzioni dell'autore, mi sembravano tutti maledettamente uguali.

Forse a essere difettoso era solo il mio approccio, che in termini tecnici potrei definire ammorbato da pregiudizi scoglionati: ecco, Bill ci racconterà per la millesima volta della sua tristezza inguaribile e dei suoi malesseri esistenziali.

La dico in termini brutali: Bill è un genio, ma perde troppo tempo a masturbarsi con le sue lacrime, e questo, per qualche tempo, ha privato di un po' di linfa la sua musica, che raramente ha abbandonato il terreno circoscritto dell'aurea mediocritas.

Molti fra i grandi hanno nuotato negli abissi più cupi, mi direte: sono d'accordo, solo che quasi tutti i grandi, prima o poi, sono usciti con il pugno chiuso dalla nebbia dei propri fantasmi, hanno cercato il sentiero giusto. Che poi il bello stesse tutto nella ricerca (quando diventano felici sono semplicemente insopportabili), posso essere d'accordo: ma, appunto, la ricerca, il cammino, il movimento, erano essenziali.

Notiziona: anche Bill si è svegliato, ha indossato scarponi nuovi e ha deciso che era tempo di osare.

La sua musica si è trasformata in un fiume di sogni, e in effetti da tempo non coglieva nel segno con tanta preziosa, cristallina efficacia.

La voce è sempre quella, più o meno: calda come uno stalattite eppure morbidissima, quasi pieghevole. Una voce in ginocchia, timida fino allo sconforto.

I brani però qui si ampliano, diventano polifunzionali: Bill è stato a lezione da maestri soul raffinati (esagero un po': Marvin Gaye, Terry Callier), ed è sempre innamorato della malinconia angelica di Nick Drake e di Tim Buckley, le sue muse nei secoli dei secoli.

Ecco allora che nasce un folk-jazz dilatato e articolato, che non disdegna l'uso di strumenti a fiato (sempre introversi fino al parossismo, eppure forti di una luce nuova: ascoltare per credere le note di flauto che aleggiano lungo “Small Plane”). Non vuole più morire, Bill: e lo dichiara solennemente lungo la minimale e tenerissima “Ride My Arrow”, quando confessa di cercare le aquile nel cielo, di sentirsi un'aquila. Qui le percussioni incessanti, ma sempre misurate, riportano in vita proprio le lunghe digressioni folk-soul di un Terry Callier. “Summer Painter” aggiunge alla miscela un'organetto che puntella note e lunghe fughe e allora l'applauso può scapparci per davvero.

L'unico, relativo punctum dolens sono le melodie: hanno mordente ma raramente sono in grado di fluttuare per davvero. Insomma, la scintilla non si accende quasi mai: da questo punto di vista, fa eccezione la splendida "Seagull", il cui inciso si fa ricordare per un pezzo, e forse anche "Winter Road", con gli archi a sognare sullo sfondo.

Forse era chiedere troppo: è già tanto che Bill abbia finalmente deciso di provarci.

Questa musica, per i suoi standard, suona infatti curiosamente serena: una serenità che però implica percorsi interiori travagliati, una tribolazione lunga, una scalata dolorosa. Una serenità trovata da un'anima finalmente redenta.

Di fatto, “Dream River”, con i suoi colori (discretamente) vivaci, con le sue frasi di chitarra più brillanti del solito, con il suo ensemble di fiati color pastello, ci comunica che Bill ha superato la fase più critica. Oggi riesce persino a sorridere, e a far sorridere pure noi.

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Voto degli utenti: 8,1/10 in media su 4 voti.
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REBBY 8/10

C Commenti

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bill_carson (ha votato 8,5 questo disco) alle 14:10 del 8 gennaio 2014 ha scritto:

bellobellobello!

The musical box alle 11:49 del 9 gennaio 2014 ha scritto:

Un disco elegante cupo ma anche pieno di speranza..complimenti per la recensione

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 12:57 del 28 marzo 2014 ha scritto:

Questo è il quarto album a nome Bill Callahan e credo che i precedenti tre non siano affatto uguali, sia per quanto riguarda la proposta musicale (il primo poi è quasi smaccatamente country), sia per quanto riguarda il loro valore artistico e il loro godimento personale. E' vero invece che la voce si è ormai cristallizzata, dagli esordi (Smog) agli anni duemila è via via diventata più calda, matura (ettecredo eheh), intonata, caratterizzante e ... meravigliosa. Quest'opera credo sia la seconda gemma della sua "seconda carriera", ad oggi non so ancora decidermi se la preferisco o meno a "Sometimes I wish we were an eagle". Tra i due dischi, oltre alle differenze evidenziate in rece, aggiungerei che Dream river è un album "dominato" dal flauto e dalle percussioni (niente batteria sto giro) e che quindi appaiono diverse le "atmosfere" musicali proposte.

Per chi volesse poi maggiori novità poi, quest'anno esce "Have a fun with god", l'annunciata versione dub....