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R Recensione

8/10

Bill Fay

Life Is People

E’ un nome, quello di Bill Fay, che andrebbe pronunciato dopo un momento di raccoglimento e una serie di gargarismi germicidi. Posta quindi la mia inadeguatezza a recensirlo, temerariamente, ci provo lo stesso.

Bill Fay, cantautore e pianista inglese, deve la sua fama principalmente ai due album - splendidi, soprattutto il secondo - pubblicati su Deram/Decca nel 1970 (Bill Fay) e nel 1971 (Time Of The Last Persecution). Dischi che allora, sul ponte tra psichedelia e progressive, non ricevettero particolari attenzioni e che, anzi, costarono al nostro il siluramento da parte dell’etichetta e le vili accuse di instabilità mentale da parte di certa critica. Bill Fay smise di pubblicare, ma non di scrivere e nemmeno di registrare - almeno a livello casalingo - le proprie canzoni. 

Come per molte delle più grandi cose, c’è voluta la galanteria del tempo e l’amore di alcuni devoti discepoli perché il valore di quelle opere fosse infine da molti riconosciuto. Personaggi quali Jim O’Rourke (autentico paladino del recupero folk durante gli anni ‘90), ma soprattutto Jeff Tweedy (che, tra Uncle Tupelo e Wilco, ha sempre citato Fay tra i suoi principali modelli) e David Tibet dei Current 93 (a cui, infine, si deve la pubblicazione postuma - nel 2005 - del lost album Tomorrow, Tomorrow and Tomorrow - registrato nel 1981 ma mai pubblicato - e della raccolta Still Some Light, edita nel 2010) contribuirono in maniera determinante alla crescita dello status del musicista inglese ed alla percezione che di lui il mondo andava facendosi.

Ma se oggi, a 31 anni da quel 1981, Bill Fay torna in studio, chi dobbiamo ringraziare è principalmente il giovane produttore statunitense Joshua Henry. Mosso da amore e nostalgia infinita, raggiunge Fay telefonicamente con l’insperata proposta. “I don’t really make real albums, Joshua. I only make imaginary ones” risponde teneramente il sessantanovenne all’altro capo del telefono. Poi ascolta rapito la storia di come Henry si innamorò della sua musica attraverso i vinili originali del padre. La circolarità degli eventi, insieme con la profonda passione del giovane, lo avvincono e lo convincono. Si mette nelle mani del produttore, discute con lui di tutti gli aspetti - dai brani (Henry vuole There Is A Valley, City Of Dreams e Be At Peace With Yourself da Still Some Light) agli arrangiamenti (gli archi del Vulcan String Quartet e i cori della London Community Gospel Choir), dai musicisti (i ritrovati Ray Russell e Alan Rushton, già con Fay per Time Of The Last Persecution, insieme a nomi del calibro di Matt Deighton, Mikey Rowe, Matt Armstrong e Tim Weller) all’etichetta da coinvolgere - concedendogli comunque grande autorità decisionale. L’unico paletto che pone riguarda i diritti, che vuole siano devoluti in beneficenza così come avvenne per quelli di Still Some Light. La musica non serve per le tasche. Per le sue, almeno, non è mai servita. E finché ne resta uno solo di artisti così, c’è speranza anche per tutti gli altri, artisti e non.

Life Is People, lo si dice con emozione, è il nuovo album di Bill Fay. Un disco che riprende e riparte dalla dimensione che caratterizzò l’artista fin dagli esordi: la grazia della sua voce e la forza semplice ma illuminante delle sue parole a guidare una materia sonora cangiante e leggera, inevitabilmente più prossima - complice anche la preminenza del pianoforte sulla chitarra - all’eleganza ed alle raffinatezze del jazz che non alla ruvidezza agreste del folk più ortodosso. Al di là di un paio di episodi (la dylaniana There is a Valley, in apertura, e l’orecchiabile This World, molto Wilco, cantata - non a caso - in coppia con Tweedy), la maglia ritmica del lavoro è larga, quando non del tutto aperta. Ed è proprio in queste ballate sospese e sognanti (la splendida The Healing Day, fatta davvero della stessa materia dei sogni), piuttosto che glacialmente statiche (Big Painter, un luogo del pensiero che semplicemente esige di essere visitato, o City Of Dream, ombre pinkfloydiane e tutto ciò che di Vic Chesnutt ci mancava) che la poetica del nostro trova la sua miglior ragione d’essere. Ché perfino i due episodi di sola voce e piano, un’intensissima rilettura di Jesus Etc. dei Wilco (si ringrazia così Tweedy per la cover di Be Not So Fearful) e il commiato finale di The Coast No Man Can Tell, non raggiungono le stesse impressionanti vette emotive. Fa storia a sé il bellissimo crescendo di Cosmic Concerto (Life Is People), vera e propria ode al creato, che ci fa accorgere, in fondo, di quanto poco lontano sia lo spirito (e l’ideale) di uno come John Lennon.

"Like my old dad said / Life is people / In the space of a human face / There’s infinite variation / It’s a cosmic concerto".

Gli arrangiamenti, seppur ricchi ed articolati, riescono a mantenere quasi sempre (la fiacca eccezione è nel finale di The Healing Day) un carattere di pulizia e delicatezza assoluta, come se non potessero sottrarsi all’aura candida e pura del protagonista. Perché Bill Fay, innanzitutto, è questo: un uomo capace di trasmettere, come Nick Drake e pochi altri, la più credibile ed immacolata innocenza d’animo. Roba da commuovere un boia di lungo corso. E’ così che, pregando in Thank You Lord nei giorni dell’avvento del twitter pontificio (dove, per altro, pare giungano quesiti fondamentali del tipo “ma è vero che chi fa la spia non è figlio di Maria?”), Fay ci offre un luogo spirituale molto più autentico e confortante di quelli che in continuazione, malamente, ci vengono propinati. Eppure linguaggio più classico non potrei immaginarlo: I don’t ask much, for myself / But for the ones I love.

Ascolto dopo ascolto, Life Is People è un disco a cui non ci si può sottrarre, destinato a crescere e a radicarsi con forza nel profondo, come immancabilmente vuole la poesia autentica. Non vi bastasse la bellezza della musica, la misura gentile con cui essa si manifesta, le parole dell’anima che scorrono tra questi solchi, non abbiatevene a male: cercate una qualsiasi foto attuale di Bill Fay, datele uno sguardo anche solo poco più che superficiale, e vi innamorerete di lui comunque. Perdutamente.

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Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 8 voti.
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andy capp 8,5/10
REBBY 8/10

C Commenti

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Franz Bungaro (ha votato 9 questo disco) alle 9:57 del 17 dicembre 2012 ha scritto:

Un disco immenso. Mette i brividi ogni volta. Quando lo metto su pretendo il silenzio assoluto e vado in adorazione. La recensione di Paolo è la più bella letta sin ora su questo disco, e ne ho lette tante!

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 13:49 del 17 dicembre 2012 ha scritto:

E' vero, recensione bellissima scritta peraltro con calma e senza pressioni esterne . Ottimo anche il disco, uno dei migliori dell'anno sicuramente. In entrambi i casi: gallina vecchia fa buon brodo...

bill_carson (ha votato 8 questo disco) alle 11:06 del 18 dicembre 2012 ha scritto:

pop elegiaco di qualità

gull alle 20:28 del 4 gennaio 2013 ha scritto:

Prima volta che riesco ad ascoltarlo quasi tutto e con relativa calma. Impressiona e non poco, devo dire, la sequenza di canzoni. Intimismo spirituale inimmaginabile oggigiorno.

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 12:02 del 14 gennaio 2013 ha scritto:

Confesso la mia ignoranza, nonostante i miei 40 anni di ascolti mossi sempre dalla curiosità, questo è il primo disco che ho ascoltato di Fay. Ne sono sicuro, perchè con quella voce, anche se avessi udito solo una sua canzone (chenesò da un amico, alla radio o in un locale) di sicuro avrei provveduto ad approfondire, qualsiasi fosse la "fase musicale" che stavo vivendo.

Questo suo ultimo album per ora l'ho ascoltato varie volte durante questo week-end, ma la prima impressione è stata davvero grandiosa (tra l'altro mi è sembrato anche vario, il che non guasta, specie se posseduto in formato CD) e sono certo che mi terrà compagnia altre volte nei prossimi mesi. Sicuri che non sia un capolavoro inedito prima degli anni a cavallo tra i '60 e i '70? L'ha davvero realizzato oggi quel "vecchietto" che si vede sulla copertina? Comunque sia, grazie Bill, hai trovato un nuovo amico eheh

Ed ora a caccia anche dei vinili "dimenticati", specie del secondo, che di Paolo mi fido.

Ivor the engine driver alle 12:58 del 15 gennaio 2013 ha scritto:

Ti pago una cena se trovi Time Of Last Persecution in vinile! A un prezzo decente intendo... Devo ancora digerirlo per bene questo, sono infoiato con il suddetto secondo disco e il primo, entrambi molto belli e abbastanza diversi da questo, molto più pianistico e quasi liturgico negli arrangiamenti.

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 15:17 del 15 gennaio 2013 ha scritto:

Eh no Ivor, se lo trovo a buon prezzo te la pago io la cena, anzi se passi da Mantova e mi avvisi per tempo te la pago comunque vada la caccia! Per questo consiglio un buon grappino (o se preferisci un brandy spagnolo). Io nel weekend appena passato ho bevuto qualche bicchierino di entrambi, hai visto mai ...eheh

Ivor the engine driver alle 15:20 del 15 gennaio 2013 ha scritto:

Beh sfondi una porta aperta, il mio lavoro è vendere vino e grappe, per cui non scherzare troppo che finisce che ti vengo a trovare (se prima mi trovi un distributore in cerca di vini marchigiani )

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 15:27 del 15 gennaio 2013 ha scritto:

Vini marchigiani? Che meraviglia! Io sono stato svezzato in tenerissima età col verdicchio (in quel di Arcevia) eheh Col tempo poi ho scoperto quello di Matelica, divino!

Le grappe però, che io abbia bevuto, vengon meglio più a nord est eh

Ivor the engine driver alle 15:30 del 15 gennaio 2013 ha scritto:

Ma dai abbiamo 35 ettari di Verdicchio a Ripalta di Arcevia!!! Il Verdicchio a me piace un sacco, e inoltre è uno dei vitigni bianchi con una longevità da Nebbiolo, cosa che non accade con uno Chardonnay, o altro (intendo vini senza affinamenti in legno, solo acciaio). Vabbè scusate l'off topic

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 15:43 del 15 gennaio 2013 ha scritto:

Allora mi sa che prima o poi vengo a trovarti io, comincia a tremare per le tue riserve (altrochè se è longevo il verdicchio, se non lo bevi prima)

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 10:51 del 10 gennaio 2014 ha scritto:

Il vinile di Time of the last persecution in realtà non è difficile trovarlo in quanto è stato ristampato in UK nel 2005 e 2008 e pochi mesi fa anche in USA.

Album davvero notevole in cui suonano tra l'altro degli ottimi strumentisti (come il chitarrista Ray Russell, ad esempio), provenienti dai circuiti britannici jazz e folk. Immagino che non abbia avuto molto successo all'epoca (eufemismo) soprattutto per il carattere fortemente religioso dei testi. Lacuna colmata ieri al Disco d'oro di Bologna. Grazie Paolo per il buon consiglio eheh.

Utente non più registrato alle 13:46 del 28 gennaio 2013 ha scritto:

Disco che continuo ad assaporare nella sua intima e raffinata semplicità...