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R Recensione

7/10

Wooden Wand

Death Seat

“In my view, he’s a great American songwriter in full bloom.”

Così Michael Gira, che il giovane -per lui- James Jackson Toth pare esserselo preso veramente a cuore. Non tra i nomi più altisonanti del songwriting d’oltreoceano, Toth è in realtà sulla scena da quasi una decade. Nascosto dietro una serie di moniker piuttosto improbabili, che ben ne rispecchiano il carattere instabile e dolente, il ragazzo ha progressivamente plasmato l’umorale obliquità degli inizi dentro forme ora magnificamente prossime alla classicità cantautorale della sua terra. Death Seat si inserisce così a pieno titolo tra le opere in grado di perpetrare, rinnovandolo, il mito di Nashville e della “sua”musica per antonomasia: il country. Detto con tutta la cautela che una simile semplificazione impone. Elementi di “moderno” folk/blues screziano l’anima del lavoro in continuazione, la produzione di Gira regala al tutto una coltre oscura e ammaliante che a qualcuno potrà ricordare le atmosfere gotiche dei suoi Angels Of Light, le parole e la voce cangiante di Toth valgono più di qualunque inquadramento stilistico.

Prima di ogni altra cosa, Death Seat è un ottimo, attuale album di cantautorato classico americano. Chitarra acustica onnipresente, raramente sfregiata da incursioni elettriche, e una praticamente totale assenza percussiva che passa con naturalezza inosservata, data soprattutto la quantità di strumenti comprimari e la qualità pregevole di esecuzione e arrangiamenti (suonano qui componenti di Lambchop, Mercury Rev e Silver Jews; la supervisione di Gira fa il resto). La scrittura di Toth è efficace come mai prima d’ora: melodie spesso vicine all’eccellenza (The Mountain, ibrido perfetto tra la fragilità di Townes Van Zandt e la dolcezza di Tim Buckley o Roy Harper; I Wanna Make A Difference, il cui contrasto fra rotondità melodica e aggressività del testo atterrisce ed affascina; I Made You e Ms Mowse, le cui arie funeree concedono poco alla speranza; Bobby, classicissima; Hotel Bar, vicina al compianto Vic Chesnutt; Tiny Confessions, struggente quando splendida) e liriche di grande impatto emotivo, improntate, come si conviene, su storie di solitudine, alienazione, ubriachezza, prostituzione e quant’altro il lato oscuro dell’uomo possa suggerire.

Ecco, proprio dai testi non si può prescindere se si vuole cogliere appieno la potenza del disco: come non intenerirsi di fronte all’ubriacone Bobby che “painted his house the color of skin, so if the situation called for it, he could blend in”? Come rimanere insensibili alle minacce in forma di ninna nanna di I Wanna Make A Difference o al romantico fatalismo della title track? Chi non vorrebbe bersi un drink nel paradisiaco Hotel Bar (“people near who hardly know you’re there, you need those kind of friends when life’s a bear”)?

Toth ha la rara capacità dei grandi di riuscire, attraverso descrizioni concise e lapidarie, a creare in un istante il luogo e l’umore della canzone. Vi capiterà spesso di sorridere amaramente, o di piangere in silenzio, o di perdervi in poetiche suggestioni. Il tutto grazie ad un linguaggio sempre naturale, immediato ed assai vivido, in grado di imporsi proprio in virtù di un carattere dimesso, bellicoso eppur fragile. Versi come “send me your benevolent angels – I’ll make whores of them one by one” paiono rivolti più a incoraggiare sé stesso che a minacciare l’esterno. E la conclusiva Tiny Confessions ci offre un condensato di quest’uomo che vale più di mille parole spese: “Father forgive me for not coming to see you in weeks, but I’ve been solving all my own problems from the floor where I sleep”.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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gull 7/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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gull (ha votato 7 questo disco) alle 15:10 del 24 gennaio 2011 ha scritto:

Lontani i tempi in cui si avventurava in sperimentazioni free-folk-drone con i "Vanishing Voice"!

In questa forma decisamente "normalizzata" riesce, comunque, ad emergere con grandissime canzoni.

A me piacciono in particolare quelle più oscure "I made you" e "Ms Mowse" su tutte.

ozzy(d) (ha votato 7 questo disco) alle 21:15 del 25 gennaio 2011 ha scritto:

Dischettino veramente gradevole, bella anche la recensione.