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R Recensione

6,5/10

Father John Misty

I love you, Honeybear

Informazioni preliminari sul personaggio: Father John Misty, da circa tre anni, è il progetto musicale che attornia Joshua Tillman, ex membro dei Fleet Foxes, artista tuttofare quasi trentacinquenne.

Ragguagli preliminari sul disco: è qualcosa che si aggrappa, con pochi e occasionali diversivi, alla tradizione cantautorale popolare, e orchestrale, soprattutto americana, da Neil Young ad Elton John, da John Lennon a Burt Bacharach, da Brian Wilson a Randy Newman, e la smetto con l’elenco perché diverrebbe una pedante lista della spesa.

Considerazioni preliminari sui testi: si parla di “relazioni personali immerse nel vuoto spirituale contemporaneo”, così dice lo stesso Tillman del suo lavoro che ha pretese di concept. Illusione e disillusione si mescolano un po’ dappertutto, due facce della stessa medaglia o medaglia da una sola faccia: mitologie di sentimenti, apoteosi d’amore, ballate zuccherose tra fronzoli coriandoli e svolazzi, per convertirsi poi in liriche dirette, realistiche, quasi misogine, sarcastiche, non lontane dallo stile di un Sun Kil Moon, almeno nell’ultimo Benji.

Testi che necessitano perciò talvolta di ammorbidente, e qui arriva in soccorso la musica, o la voce (timbro che confondo spesso con quello di Jesse Tabish, Other Lives), ma soprattutto gli arrangiamenti, e qui riparte la lista della spesa: ariosi e trasognati, ampollosi e sinfonici, magnificenti, ridondanti. Ed è qui il problema: si respira a pieni polmoni, beati, tra strutture così orchestrali, o questo classico tende a esser troppo classico, diventa “classicume”, dunque asfissia, soffoca, nausea? Non si tratta tanto di etichettare I Love You, Honeybear come un’opera retrò, come canzoni già sentite, come disco ripetitivo, meccanico, come sound per vecchi nostalgici che hanno così l’impressione di non incanutire. Si tratta di comprendere se questo pop-soul è davvero godibile, se questo songwriting con (pochi) sprazzi di rock non annoia, se gli strumenti in ballo son troppi, e un po’ opprimono. 

La risposta varia per ogni singolo fruitore, ma probabilmente stavolta si rimane nel mezzo.

 

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Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 8 voti.
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B-B-B 7,5/10
Lelling 7,5/10
max997 6/10

C Commenti

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Clabbio86 (ha votato 8 questo disco) alle 19:08 del 3 luglio 2015 ha scritto:

A me questo disco è piaciuto davvero tanto invece!! È vero, forse un po' pomposo, ma secondo me davvero piacevole

hiperwlt alle 11:48 del 4 luglio 2015 ha scritto:

Giusta l'ultima considerazione di Jacopo. Comunque, mi posiziono tra quelli che lo trovano davvero noioso.

Ivor the engine driver alle 19:48 del 10 luglio 2015 ha scritto:

Non si capisce perché goda di tanta considerazione. Si son lette in giro lodi sperticate per sto qua, sinceramente incomprensibili. Cioè se questo è un mezzo genio, Elliot Smith chi era, dio?

pantabellidiritti alle 16:15 del 5 agosto 2016 ha scritto:

Per quanto concerne i testi io, al contrario di Jacopo, li considero elemento distintivo e, mi spingo a dire, centrale. Più in generale, poi, non posso che apprezzare l'album in oggetto: lo ascolto ormai a ripetizione e lo trovo illuminante. Gusti son gusti, ma non riesco a capire la noia che ad alcuni suscita questo lavoro...