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R Recensione

6,5/10

Cult Of Luna

Vertikal

Per andare vertikal, andare su nella speranza di continuare ad andare su, bisogna possedere solide fondamenta ed incrollabile confidenza nella loro tenuta. La maggioranza del post metal, oggi, ha smesso di perseguire ciò in onore del quale era tumultuosamente sbocciato: il sogno. Ha tirato i remi in barca, cristallizzato l’imprevedibile in stereotipo, il sentimento pulsante in susseguirsi di stati d’animo da cartolina. Altri, meno, hanno sovrastimato le loro reali capacità. Poi, la fetta minore della grande torta: chi si prende tutto il tempo necessario per dare degno seguito al proprio raggio d’azione. È con sorpresa – e vaga reminiscenza di chi si dimentica di aver ascoltato un disco dieci minuti dopo averne fruito – che i Cult Of Luna sono stati riaccolti nell’alveo di un’etichetta da cui si erano volatilizzati dopo l’exploit di “Eternal Kingdom” (2008) e che, nel frattempo, andava incontro a sicura disintegrazione. Non che questo abbia scalfito particolarmente la coriacea personalità del complesso di Umeå – non vi sarebbe stata, altrimenti, questa voluta e consapevole estraniazione. “Vertikal” rende onore al merito ed al coraggio che solo contraddistingue il reale vincitore.

Da un concept fittizio, per quanto affascinante, sulla pazzia di uno schizofrenico accusato di uxoricidio (quello del precedente capitolo) ad una storia che muove da un’altra Storia, moralmente maggiore ed apocalittica: l’umanità alla deriva, frantumata, umiliata – ma, in definitiva, speranzosa e pronta a rinascere – del grandioso Metropolis, kolossal cult di Fritz Lang datato 1927. Tutto, nei Cult Of Luna, riflette la dicotomia tra ascesi ed abisso, tra caduta e ripresa, tra hope e despair: la tetra nebbia delle ciminiere, il grigiore dell’esistenza alienata, le tinte tenui verso il futuro. È stato più volte fatto notare come, in questo, il simbolismo artistico del gruppo svedese faccia il paio con quello di illustri maestri, connazionali e pionieri di un nuovo approccio – mentale, ancor prima che fisico – al metal, i Meshuggah. Rispetto alle torrenziali e sanguinanti cacofonie di questi ultimi, tuttavia, la mediazione atmosferica dei Cult Of Luna si arricchisce di nuove – e notevoli – sfumature, rielaborando l’aggressione del wall of sound lungo tracciati orrorifici ed ampliando a dismisura le funzionalità melodiche con inserti elettronici che, rispetto al passato, rappresentano la vera e più eccitante novità messa in campo in “Vertikal”.

La summa di quanto eviscerato viene largamente elargita nei diciannove minuti di “Vicarious Redemption”, suite giocoforza determinante per gli equilibri dell’intero disco e già salutata, altrove, come brano destinato ad entrare nella storia del post metal tutto. Limitante come incasellamento, a dire il vero, specie se le urla di Johannes Persson iniziano a solcare il brano solo allo scoccare dell’ottavo minuto, dopo una lunga e sinuosa apertura dark-ambient (o sulla scorza dei Tool industriali, fate vobis) giocata a rimpiattino su rilassatezze jazzate, e specie se i riff incalzano più con retrospettiva black che con il tipico accumulo del “genere”. Furthermore, il segmento interamente sintetico – ed un po’ kitsch – che dà il via agli sfrenati affondi strumentali di una coda agonizzante sludge testimonia di una vitalità nuova, sprezzante, anticonformista. Esistono ancora, certamente, costruzioni più tradizionali(stiche), come gli Isis – periodo “Panopticon”, dunque il migliore… – rovesciati Darkthrone di “I: The Weapon”, o la serpentina orchestrale che ammanta di profonda intensità le evoluzioni progressive di “In Awe Of…”, ma si sentono quasi più come concessioni ad un passato ingombrante, che come tangibile fedeltà ad un trademark autofago (notare come, ad esempio, il blocco marmoreo di “The Sweep” sia processato e riverberato digitalmente, in un processo di transizione lento ma inesorabile).

Significativo il fatto che le frange oltranziste e puriste, generalmente refrattarie al cambiamento e all’ibridazione, abbiano, sostanzialmente, apprezzato il disco. Anche quando la qualità non sembra toccare la quantità (“Synchronicity” si decostruisce su oscillazioni minimalistiche, ma appare abbastanza pacchiana) ed i fantasmi post metal raggiungono picchi emotivi a tratti fuori posto (“Mute Departure”), i Cult Of Luna si riconfermano, ancora una volta, gruppo da battere.

Se desiderate provarci, accomodatevi. Da questo preciso istante, avete altri cinque anni di tempo.

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 3 voti.
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C Commenti

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Mushu289 (ha votato 8 questo disco) alle 11:53 del 5 settembre 2015 ha scritto:

disco molto pesante da ascoltare, forse un po' troppo atmosferico ma davvero ottimo a mio parere, se lo prendi bene sarà un ascolto più che godibile